ALVAROTTI AICARDINO e ALVAROTTI ALVAROTTO

biografia

I due fratelli, figli di Pietro degli Alvarotti e nipoti di Jacopo, nacquero nella prima metà del Trecento in una famiglia di nobili che Gonzati definisce «semenzaio di valentuomini» (Gonzati 1853). Ebbero almeno altri due fratelli: Francesco e Jacopo, ugualmente elargiti dal testamento del padre redatto nel 1348 (Carrington 1996). Aicardino e Alvarotto si mossero dunque nel solco di una dinastia di illustri giureconsulti, furono al vertice della politica del tempo e ricchi possidenti. Nel 1364 ambedue entrarono nel collegio dei giudici cominciando inoltre a esercitare la professione legale. Aicardino prese per moglie Orsina della famiglia Curtarolo, figlia del medico Antonio, con la quale ebbe sicuramente due figli che gli sopravvissero: Alvarotta e Taddeo. Appare come professore nello Studio patavino per gli anni 1379-1382, anno della morte avvenuta per una severa malattia il 27 agosto, giorno successivo alla dettatura del testamento. Nel documento Aicardino oltre a nominare eredi Orsina e i figli, indica l’esplicita volontà di essere sepolto al Santo (Baldissin 2021). Per Alvarotto invece, le fonti affermano che dopo l’iscrizione al collegio fu presente come giudice all’ufficio del Cavallo nel palazzo della Ragione mentre nel 1382 divenne vicario del podestà di Bologna. Visse e fu presente all’abdicazione di Francesco il Vecchio da Carrara nel 1388 in qualità di sindaco del comune, affiancò i quattro anziani rappresentanti dei quartieri (Medin, Tolomei 1931), fu ambasciatore padovano presso Gian Galeazzo Visconti, ma non riuscì a vedere il ritorno di Francesco Novello a Padova poiché morì nell’ottobre del 1389. La lapide recita che, come il fratello, fu professore dello Studio e ciò è accettato da Gloria (Gloria 1888), seppur senza l’apporto di ulteriori conferme archivistiche.

cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Terza cappella radiale di sinistra, cappella di San Leopoldo già di San Giovanni Battista, parete di sinistra.

matriali e tecniche

Pietra d’Istria incisa scolpita, marmo proconnesio.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Questo sepolcro è stato spesso indicato come frutto di un riutilizzo trecentesco di lastra scolpita collocabile tra il IV e V secolo (Wolters 1984; Bertazzo, Zampieri 2021), ma recentemente la critica si è orientata verso una datazione completamente trecentesca, ascrivibile alla cultura locale e dunque splendida e precoce citazione dei canoni dell’antico (Riccomini 2021; Serito 2021). Si può notare visivamente come esista una netta separazione, a due terzi dell’altezza, tra il corpo principale e la pietra tombale a coperchio del sarcofago. In questa suddivisione così evidente e caratterizzante si è pensato potesse risiedere un’efficace prova di riutilizzo dell’elemento frontale, tolto da un altare e modificato per la famiglia degli Alvarotti nel Trecento. Una maestranza che dunque doveva aver terminato con grande mimetismo le architetture e decorazioni originali affinché tutto combaciasse perfettamente (Wolters 1984). L’analisi delle imperfezioni nello stesso corpo centrale e la visione dei lati più corti incassati a parete, espunge però questa ipotesi (Serito 2021). Formalmente l’avello è ripartito in cinque sezioni ospitanti i simboli del Redentore delimitati da colonne tortili con capitelli corinzi; i motivi scolpiti sono quelli delle croci negli spazi più esterni, della palma e dell’agnello nei due mediani mentre centralmente, quello stesso simbolo è inscritto in un nimbo di luce e si innalza dal Golgota recante le insegne della famiglia Alvarotti. Dal ventre dell’Agnello Mistico crucisignato, sgorgano i fiumi paradisiaci che si effondono verso il basso, rimanendo però confinati nel perimetro dell’aura. Nella fascia sommitale, i maestri qui operanti hanno scelto di scolpire, a coronamento delle colonne, archi a tutto sesto colmandone però lo spazio interno con il motivo dei lobi già visti nel nimbo centrale. Profilano il perimetro di entrambi i lati due aquile mentre foglie carnose e fiori occupano ogni spazio tra gli archi a tutto sesto e le cornici modanate della zona apicale. Tardoantico o completamente trecentesco, il sarcofago di Alvarotto e Aicardino mette in scena, come ha notato Wolters, uno dei metodi con cui le famiglie nobili e specialmente nel clima preumanistico locale, creano o si accreditano presso la loro comunità come di antichissimo lignaggio (Wolters 1984). Una simbologia che accomuna almeno altri due monumenti qui in basilica: il sepolcro di Guido da Lozzo e Costanza d’Este e l’arca dei Bebi (Riccomini 2021; Serito 2021). Grazie alle ricerche effettuate da Foladore è stato appurato che l’avello Alvarotti non ha subito spostamenti nei secoli e che la stessa targa dedicatoria posta, inusualmente, al di sopra e non sotto l’arca, sia pervenuta integra e nel medesimo loco in cui era stata posizionata dai committenti (Foladore 2009).

bibliografia

Angelo Portenari, Della felicità di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Padova 1623, p. 236; Bernardo Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Voll. II, Coi tipi di Antonio Bianchi, Padova 1852-1853, vol. II, pp. 85-86; Pietro Selvatico, Guida di Padova e dei principali suoi contorni, Tipografia e libreria editrice F. Sacchetto, Padova 1869, p. 63; Andrea Gloria, Monumenti della Università di Padova (1318-1405), Tipografia del Seminario, Padova 1888, pp. 156-158; Antonio Medin, Guido Tolomei a cura di, Cronaca Carrarese confrontata con la redazione di Andrea Gatari 1318- 1407, in Rerum Italicarum scriptores: raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento, vol. XVII, Casa editrice S. Lapi, Città di Castello 1909- 1931, p. 316; Wolfgang Wolters, Il Trecento, in Le sculture del Santo di Padova, a cura di Giovanni Lorenzoni, Neri Pozza Editore, Vicenza 1984, pp. 5-30: pp. 7-10; Jill Emilee Carrington, Sculpted tombs of the professors of the University of Padua c. 1353 c. 1557, Art dissertation, Syracuse University 1996, pp. 221-225; Giulia Foladore, Il racconto della vita e la memoria della morte nelle iscrizioni del corpus epigrafico della basilica di Sant’Antonio di Padova (secoli XIII- XV), XXI ciclo della scuola di dottorato in Scienze storiche dell’Università di Padova, supervisori Professoressa Nicoletta Giovè Marchioli, Professore Antonio Rigon, 2009 Padova, vol. II, pp. 21-23; Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, Introduzione in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. LIII-LXV: p. LVII; Anna Maria Riccomini, Antichità al Santo in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 393-421: pp. 413-416, 419; Maurizio Gomez Serito, Marmi Antichi nelle arche al Santo interpretazioni e modelli tra XIV e XVI secolo in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 423- 443: p. 436; Giovanna Baldissin Molli, Da San Giovanni Battista a San Leopoldo e Santa Elisabetta d’Ungheria. Note sulla cappella radiale già Alvarotti e Sala al Santo in Luigi il Grande Rex Ungariae. Guerre, arti e mobilità tra Padova, Buda e l’Europa al tempo dei Carraresi, Atti del convegno internazionale di studi (Padova, 22-24 settembre 2021), in fase di pubblicazione nel corso del 2022

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