CAIMO POMPEO

biografia

Se le origini della famiglia Caimo si ritrovano in Lombardia, tra Piacenza e Milano, il ramo glorificato da questo monumento è già presente in Friuli nei primi anni del Cinquecento. Nella città di Udine Giacomo Caimo, nonno di Pompeo, era speziale alla bottega con l’insegna del Moro e a partire dal 1548 la famiglia è iscritta alla nobiltà locale. Il padre di Pompeo, anch’egli chiamato Giacomo, aveva conseguito la laurea in legge e sposato la nobile Chiara del Merlo. Da quest’unione nacquero almeno quattro figli: primogenito fu Eusebio che si votò, dopo la laurea in legge e un accenno di carriera politica, alla religione fino a raggiungere le dignità vescovile, dopo di lui nacquero Pompeo che fu medico, matematico e astrologo nonché coltissimo umanista di cui rimangono molteplici pubblicazioni e manoscritti di carattere letterario (Benzoni 1973), Marcantonio e Quintilio. Pompeo si formò nello Studio di Padova dove si interessò alla medicina e chiaramente alla filosofia seguendo i professori Francesco Piccolomini e Girolamo Mercuriale. Dopo il conseguimento della laurea il 14 ottobre 1592, esercitò la professione per il comune di Udine e in quanto convinto assertore del primato della filosofia nell’ambito medico, un binomio che proprio in questo secolo cominciava la sua crisi manifesta, divenne cultore delle lingue classiche e particolarmente di quella greca grazie alla quale poté affrontare direttamente i testi di Aristotele e dei galenici. La sua fama giunse a Roma per tramite dell’abate udinese Ruggero Tritonio inserito nella cerchia del cardinal Montalto ovvero Alessandro Peretti Damasceno che lo volle convocare nell’Urbe e assumere come archiatra personale. La benevolenza ricevuta da questo uomo di chiesa, pronipote favorito da Sisto V, ben addentro alle dinamiche romane fruttò, per riflesso all’elezione di Paolo V, una posizione di assoluto prestigio per Pompeo che ebbe quindi la possibilità di insegnare dalla cattedra dell’università della Sapienza dove divenne professore in prima sede di filosofia naturale. Le conoscenze godute grazie al cardinale Peretti fecero ascrivere tra i suoi clienti i granduchi di Toscana Ferdinando I e Cosimo II, il viceré di Napoli, probabilmente Massimiliano d’Asburgo e il papa Gregorio XV di cui preconizzò la fine (Papadopoli 1726). Riuscì inoltre a collocare come paggio presso il fratello del suo mecenate, Michele Peretti, il nipote Giacomo figlio di suo fratello Marcantonio e aiutò l’altro fratello, Eusebio, a raggiungere la dignità di vescovo di Cittanova – Novigrad – grazie ai buoni uffici presso papa Paolo V. Rifiutato un posto presso l’Università di Pisa (Papadopoli 1726), gli ambasciatori veneziani a Roma segnalarono alla Repubblica questo valente filosofo e gli offrirono dapprima la cattedra al primo posto di medicina teorica nell’ateneo Patavino, poi su richiesta dello stesso Pompeo (Forlivesi 2012) gli venne accordata anche quella vacante di anatomia, seppur il docente non avesse la benché minima preparazione in tal senso. Nel giugno del 1624 gli venne accordata ogni richiesta e prima di partire per Padova accompagnato dal nipote Giacomo, Urbano VIII lo creò cavaliere e conte palatino in considerazione dei grandi servigi usati alla città di Roma e alla curia pontificia (Papadopoli 1726; Renazzi 1804). Giunto quindi a Padova, appoggiato com’era dalla fazione curiale della politica e dei Riformatori dello Studio, organo politico supremo dell’Università, entrò subito in acceso contrasto con molteplici colleghi e in particolare con il filosofo Cesare Cremonini e l’associazione – o Nazione- degli studenti tedeschi. Sempre grazie alla protezione goduta, venne eletto presidente del collegio del Bo nel 1626, rinviando di tre anni l’avvento della reggenza di Cremonini stesso che era stato, fino ad allora, il candidato più probabile. Il malumore che si respirava all’Università, di riflesso, diede lustro a un altro personaggio che proprio tra le acque della laguna esercitava la professione di medico, Johann Wesling il quale fece incetta di studenti bramosi di un approccio innovativo e libero alla disciplina e aprì la strada per la sua futura assunzione all’Università. Quando nel 1630 a Padova e nel Veneto si sparse la peste, Pompeo, essendo medico venne precettato dall’Ufficio di Sanità cittadino, ma nella primavera del 1631 fuggì trovando rifugio nella sua villa di Tissano in provincia di Udine, dalla quale però non fece mai ritorno morendovi infatti il 30 novembre 1631. La patologia che ha provocato il decesso non trova i biografi concordi, ma è comunque imputata a un eccesso febbrile con espettorato. Dopo la sua dipartita, riprendeva a Padova con rinnovato vigore lo studio anatomico propriamente inteso, mentre la cattedra in primo luogo di medicina teorica in cui Caimo rimaneva insuperato, rimase vacante per anni. L’amore per lo studio e la vasta cultura di quest’uomo si riflettono nel lascito testamentario con il quale elargì la Repubblica di tutti i suoi testi, destinati poi alla nascente libreria dello Studio di Padova. Suoi esecutori testamentari furono il fratello vescovo Eusebio e i figli di Marcantonio: i nipoti prediletti Giacomo e Carlo. Per volontà di Eusebio, il corpo fu sepolto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Udine (Liruti 1830).

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Primo pilastro di sinistra, rivolto verso l’abside.

matriali e tecniche

Marmo mischio, marmo, pietra di paragone.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Il cenotafio commemorante i defunti Giacomo, Eusebio e Pompeo della famiglia Caimo fu allocato nel 1681 a Bartolomeo Muggini, già collaboratore degli scultori della famiglia Albanese e di Matteo Allio. I committenti furono Pompeo e Paolo, due fratelli di Giacomo qui effigiato, figli di Marcantonio dunque nipoti del vescovo Eusebio e del professore Pompeo. Già nel 1633 era stato concesso uno spazio in basilica al vescovo di Cittanova per eternare il fratello medico trapassato due anni prima, ma a causa della «morte del medesimo Prelato e altri accidenti» (Luisetto 1986), il monumento non fu mai messo in opera. Solo nel 1680 i discendenti Caimo ottennero un nuovo spazio e permesso per l’erezione della memoria, con la condizione che entro tre anni fosse terminata l’opera. La scelta dello scultore cadde quindi su di un protetto del conte Giacomo De Lazara; un lapicida non di primo piano, ma che in città godeva di buon credito e commissioni. La familiarità con Padova e in particolare con De Lazara sono state analizzate da Valentina Casarotto (Casarotto 2015) che nelle sue ricerche ha individuato lo spendersi in prima persona del nobile e la conseguente chiamata da parte degli eredi Caimo. La spesa sborsata in […] elegantissimi operis (Salomonio 1701) sembrerebbe essere stata di almeno 660 ducati (Casarotto 2015; De Vincenti, Guerra 2021). L’ottocentesco censore Gonzati pur ammettendo certamente la magnificenza delle pietre utilizzate, annichiliva per il pessimo affastellamento dell’insieme (Gonzati 1853). Nei quattro livelli sovrapposti di cui l’opera si compone, è palese un certo ritorno al gusto lessicale del tardo Cinquecento e particolarmente calzante sembrerebbe il confronto con il monumento dedicato a Girolamo Girelli, scolpito da Campagna ben cento anni prima, dal quale è ripreso, moltiplicato ed esacerbato, il modulo compositivo. Un afflato che viene tenuto da Muggini nonostante in basilica siano già manifeste le nuove direttrici espressive e trionfalistiche rappresentate da due contemporanei fuoriclasse rispondenti ai nomi di Filippo Parodi e Giusto Le Court. Gli elementi focali del progetto ovvero i ritratti dei commemorati, si trovano nel corpo centrale dell’architettura e sono accompagnati delle dediche incise in pietra di paragone, inserite in carotuche pesantemente ornate con sfingi, grottesche e volti di serafini; Pompeo è posto sulla sinistra, vestito con soprabito in broccato e portante al collo la catena con cui era stato insignito a Roma, sulla destra si trova invece il nipote Giacomo che tra tutti è il più audacemente e attentamente condotto, mentre al centro in posizione rialzata rispetto agli altri, è posto Eusebio, vescovo di Cittanova – Novigrad – e vicario del patriarca di Aquileia. Sulla medesima quota di quest’ultima effige, in posizione angolare e sopra piedistalli, sono poste due sculture allegoriche di cui quella a destra reggente il gallo è interpretabile come citazione dal Fedone platonico e dunque riferibile a Esculapio. Svetta su questa ingombrante manufatto una trabeazione a ellisse ribassata retta da erme femminili, su di essa siedono due morbidi putti che seppur intenti a sfogliare un libro, torcono il capo nella direzione opposta, in uno sforzo plastico contrastante rispetto alla ieraticità dei commemorati.  Chiosa verticale al conglomerato ideato da Muggini, il grande blasone familiare con cimiero dalla forma di cane rampante.

bibliografia

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autore scheda

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