FALLOPPIA GABRIELE

biografia

Figlio di Girolamo e Caterina Bergomizi, indicato dalle fonti come persona mite, modesta e dalla salute cagionevole, fu medico anatomista di chiara fama, botanico, chimico. Nacque a Modena nel 1523 in una famiglia che vantava origini nobiliari (Belloni Speciale 1994), precipitata però in una profonda ristrettezza economica quando il padre di Gabriele morì. Il blasone infatti non valse a sfamare madre e figli visto che Girolamo Falloppia, uomo d’arme al servizio di Rangoni e alla corte di Ippolito d’Este con un trascorso anche da orafo, non lasciò ai posteri nessun tipo di agiatezza. Fu quindi grazie alla vicinanza dei parenti materni che Gabriele riuscì a formarsi negli studi, dimostrando già nella prima infanzia passione per le essenze medicamentose, precocemente trasformatasi in attrazione per i trattati di medicina. Nascere a Modena in quel preciso momento lo aiutò non poco poiché poté seguire le lezioni pubbliche di greco istituite dal professore Francesco Porto e frequentare la casa dei Grillenzoni, meraviglioso esperimento e cenacolo di intellettuali. Nel 1542 però a causa dell’inasprimento della repressione per il propagarsi dell’eterodossia e dell’eresia, anche i frequentatori di questa Accademia dovettero sottoscrivere gli articoli di fede, cosa che non scongiurò comunque la chiusura per editto ducale del 1545. Tra i firmatari degli articoli compaiono il ventenne Falloppia e suo zio Lorenzo, uomo di chiesa che convinse il giovane a prendere i voti e togliersi da un orizzonte economico incerto. Avvenne, dunque, che Falloppia si fece presbitero e così lo segnalano i documenti dal 1543 anche se, già l’anno successivo, Lancelotti (Fiaccadori, De Bianchi 1870) lo descrive «come il maestro della notomia Don Gabriello quondam Girolamo Falopia, che studia l’arte medesima in più che d’esser prete». L’annotazione fatta in seguito alla dissezione del corpo di un giustiziato, avvenuta nel 1544 nell’ospedale di San Giovanni della Morte gestito dai confratelli di quella scuola, ben sottolinea quali fossero le reali aspirazioni del Falloppia e soprattutto indica che l’esercizio svolto gli era stato dato dallo stesso collegio dei medici di Modena seppur Don Gabriello non fosse laureato in quella disciplina. Oltre all’anatomia, Gabriele utilizzò le ossa del defunto per preparare uno scheletro unito da fil di rame, considerato qualitativamente superiore ai preparati padovani del celebratissimo André Vésale o Vesalio. Visto il plauso pubblico che ne ricevette prese finalmente la decisione di iscriversi all’università; arrivato inizialmente a Padova per seguire i corsi di Realdo Colombo e del professor Dal Monte, passò poi a Ferrara dove divenne discepolo di Brasavola. Poté giovarsi degli apprezzamenti e della stima di quest’ultimo e fu appoggiato dallo stesso duca Ercole d’Este che nel 1548, ancor prima del coronamento dottorale, lo volle come professore dei semplici: quella parte della medicina che si occupava di farmacologia. L’anno seguente il granduca Cosimo I lo fece chiamare allo scranno dello Studio pisano dove gli venne assegnata la cattedra di anatomia e contemporaneamente diede la formale rinuncia al canonicato ereditato dallo zio Lorenzo (Tiraboschi 1786), abbracciando in pieno la causa della ricerca e dell’insegnamento. Gli anni in Toscana furono ricchi di scoperte nell’utilizzo, sperimentazione e classificazioni delle erbe: primati come l’osservazione e descrizione di guarigioni grazie all’utilizzo della chinina o le sperimentazioni a base di oppio si situano in questo frangente. Non mancandogli poi i pazienti a causa della quantità di pene capitali inflitte nel Granducato, Falloppia poté largamente applicarsi all’anatomia, valicando forse anche i limiti tra questa e la vivisezione (Tiraboschi 1786; Belloni Speciale 1994). Studiò inoltre la sifilide e suggerì un metodo di prevenzione delle malattie veneree che potrebbe essere definito l’antesignano del profilattico; in breve tempo la sua fama valicò i confini e le Alpi, portandolo a viaggiare in lungo e in largo per l’Europa per prestare aiuti a nobili e coronati. Se risultasse vera la notizia riportata nella cronaca di Francesco Grassetti, ampiamente utilizzata poi da Tiraboschi, si dovrebbe pensare a un vero e proprio idolo, un’icona della medicina: lo scrittore appunta di aver visto alcuni tedeschi con anelli recanti il ritratto del Falloppia incorniciato dal motto miraculum naturae Gabriel Falloppia (Tiraboschi 1786; Montalenti 1923). Il 23 settembre 1551 segna l’ingaggio di questo gigante da parte dell’Università di Padova che stava in quel momento vivendo un ennesimo accrescimento didattico e una specializzazione spinta verso la botanica e le arti mediche. Allettato dal privilegio concessogli da parte del Senato veneto di poter sezionare i cadaveri provenienti da tutto il territorio, Gabriele scelse di essere il successore di Guiduccio da Urbino accettando il ruolo nella cattedra di medicina (Belloni Speciale 1994) che riuniva ancora gli insegnamenti di lettura dei semplici, la chirurgia teorica e la dimostrazione anatomica. L’anno successivo si colloca la chiamata a Roma da parte di papa Giulio III, bisognoso di un medico per il fratello Balduino dal Monte, ma in pochi mesi venne licenziato e fu nuovamente presente in città. Una cosa assolutamente comune tra i docenti, era il vivere nei pressi di altri professori, in studentati o ancora tenere ad affitto gli stessi frequentatori dello Studio. Anche Falloppia, dunque, ospitò studenti e colleghi, in particolare visse con il medico borusso e professore di botanica Melchior Wieland, giunto a Padova tra il 1550 e il 1554. Profondo il legame tra i due, tanto che incappato in uno sciagurato sequestro da parte di pirati algerini nel 1560, Melchior, venne liberato solo per l’intervento di Gabriele che recatosi da un intermediario in Grecia si offrì di pagare il riscatto. Non solo, anche quando Andrea Mattioli, fino ad allora sodale dello stesso Gabriele, si lanciò in salaci attacchi contro gli studi di Wieland, Falloppia intervenne pubblicamente in suo favore. Questo spendersi così ampiamente venne ricordato con affetto, gratitudine e amicizia nel 1572 all’interno del trattato sul papiro che Melchior andava pubblicando a Venezia (Wieleand 1572) a dieci anni di distanza dalla morte dell’amico e docente. Durante gli anni dell’insegnamento padovano, Falloppia curò tra gli altri Paolo Manuzio il figlio del geniale editore Aldo e ricevette più volte i duchi d’Este; il Senato continuò ad accarezzarlo con aumenti salariali per scongiurarne la sua partenza. Tuttavia, l’alta stima e il legame che lo stringevano ad Ulisse Aldrovandi gli valsero l’ingaggio nell’Università felsinea già probabilmente pianificata fin dal 1557; tuttavia i Riformatori dello Studio di Padova si opposero fermamente alla partenza del docente chiedendo il rispetto delle clausole contrattuali, al contempo cercarono di eliminare alcune difficoltà e fatiche dell’insegnamento accostandogli come assistente anatomista, poi suo successore in cattedra, Francesco Lendinara. Si può presumibilmente pensare che Falloppia avrebbe quindi rifiutato il rinnovo successivo al 1563, ma la morte avvenuta il 9 ottobre 1562 a trentanove anni di età, stroncò questo desiderio. Venne sepolto al Santo, sulla parete settentrionale della basilica nei pressi del monumento dedicato ad Antonio Roselli. Oggi la sua tomba non esiste più, venne infatti smantellata tra il diciassettesimo e diciottesimo secolo per far spazio ad una nuova porta d’accesso; i resti mortali vennero collocati nello stesso giaciglio dell’amico Melchior.

cronologia

posizione nell'edificio

Chiostro del Capitolo, lato nord.

matriali e tecniche

Marmo inciso.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

La tomba di Gabriele Falloppia si trovava (Tomasini 1630; Salomonio 1701) all’interno della basilica nella parete occidentale, tra quelle per Ludovico Filippo di Pappenheim scolaro tedesco e il docente Antonio Roselli; venne demolita già prima del 1630 per far posto al nuovo ingresso settentrionale (Tomasini 1630; Salomonio 1701; Gonzati 1853). I resti del professore vennero quindi traslati nella tomba a parete di Melchior Wienland nel Chiostro della Capitolo o della Magnolia. Alla data 1856, allorché si provvide alla risistemazione del pavimento claustrale (Luisetto 1983), si eliminarono e ricoverarono le lastre terragne e tra queste è esplicitamente segnalata l’occasione «di rinvenire le ceneri» dei due botanici, ma «non se ne ebbero sicuri indizi». Nel 1902 una nuova targa venne posta per volontà dell’allora prefetto dell’Orto Pier Andrea Saccardo nel luogo dove tutt’oggi si vede.

bibliografia

Melchioris Guilandini, Hieronymi Mercurialis, Papyrus, apud Marcum Antonium Ulmum, Venezia 1572 , pp. 110-111; Iacobi Philippi Thomasini, Illustrium virorum elogia iconibus exornata, Donatum Pasquardum & Socium, Padova 1630, pp. 42-44; Jacobi Salomoni, Urbis Patavinae inscriptiones sacrae, et prophanae, Johannes Baptista Caesari, Padova 1701, p. 382 ; Nicolai Comneni Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, Voll. II, Sebastiano Coletti, Venezia 1726, Vol. I, pp. 315- 316; Girolamo Tiraboschi, Biblioteca Modenese, o notizie della vita e delle opere degli scrittori natii degli stati del Serenissimo Signor Duca di Modena, I-VI, Società Tipografica, Modena 1781- 1786, vol. II, pp. 236-253, 330-331, vol. III , pp.6-7; Bernardo Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Voll. II, Coi tipi di Antonio Bianchi, Padova 1852-1853, vol. II, pp. 194-195, 221-222 ; Borghi Carlo a cura di, Cronaca Modenese di Tomasino De’ Bianchi, Voll. XII, Pietro Fiacadori, Parma 1871, vol. VIII, pp. CIX, 60-61; Giuseppe Montalenti, Gabriele Falloppia in Gli scienziati italiani dall’inizio del Medio evo ai giorni nostri, a cura di Aldo Mieli, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 1923, pp. 43-59; Giovanni Luisetto a cura di, Archivio Sartori, documenti di Storia e Arte francescana, Voll. IV, Biblioteca Antoniana-Basilica Antoniana, Padova 1983, vol. I, pp. 953; Gabriella Belloni Speciale, Falloppia Gabriele, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1994, vol. 44, pp. 479-485; Giuseppe Ongaro, Gabriele Falloppia a 450 anni dalla morte, in «Padova e il suo territorio», XXVII (2012), 158, pp.16-20; Silvia Pugliese, Melchiorre Guilandino, ‘bazarro Venetoteutonico’ alla guida dell’Orto botanico di Padova: studi su una biblioteca scientifica del Cinquecento, XXXV ciclo della scuola di dottorato in Scienze bibliografiche, archivistiche, documentarie e per la conservazione e il restauro dei beni librari e archivistici dell’Università di Udine, supervisori prof. Edoardo Roberto Barbieri, prof.ssa Angela Maria Nuovo, Udine 2014, pp. 1-6, 20-28, 61-79.

autore scheda

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