FERCHIO MATTEO

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biografia

Pietro Matteo Ferchio nacque nell’isola di Veglia, odierna Croazia, nel 1583; il padre si chiamava Giovanni e della madre non si rammenta il nome nella biografia scritta dal suo contemporaneo e allievo Giovanni Franchini da Modena (Franchini 1693). A otto anni, nel marzo 1591, entrò nel chiostro mentre nel luglio 1599, compiuti i sedici, fece professione. Studiò prima a Bergamo e poi a Padova, ma conseguì la laurea nel convento romano di San Bonaventura l’anno 1611 (Franchini 1693) diventando subito dopo reggente e insegnante di filosofia scotista presso il convento di Rimini. Ventottenne, a un anno dalla laurea e già rettore oltre che professore,  ebbe la prima opportunità di ricoprire il ruolo di ministro provinciale di Dalmazia durante lo svolgimento del capitolo della sua provincia, ma venne considerato assai troppo giovane. Ritornato quindi a Rimini vi rimase fino al 1617, anno dell’elezione e suo trasferimento come professore e reggente a Venezia. Iniziarono dunque una serie di spostamenti che frammentarono la durata dei suoi corsi; dalla capitale della Repubblica, si portò in Francia e in Germania per accompagnare il padre generale dell’ordine, Montanari da Bagnacavallo, al capitolo della provincia di San Bonaventura o Borgogna, tenutosi però a Chambery e qui, Ferchio, fu eletto ministro della stessa. Nel 1618, sempre con il generale Montanari, andando a Liegi e poi a Colonia, partecipò alla traslazione del corpo di Duns Scoto, Doctor subtilis, portandone anche il feretro. Non terminò i tre anni di reggenza di Borgogna poiché nel 1620 venne chiamato nuovamente in Italia come ministro provinciale e professore a Bologna. L’esperienza al di là delle Alpi lo portò però a denunciare il deplorevole stato dei conventi tra le popolazioni protestanti nel capitolo generale di Roma svoltosi nel 1625. Godendo dell’appoggio di Montanari, dal 1629 venne indicato e confermato come professore nello Studio di Padova, dove rimase – finalmente- per trentacinque anni (Poppi 2021), insegnando prima filosofia scotista poi teologia, con stipendio di milleduecento ducati. Nella senilità chiese più volte ai Riformatori dello Studio di congedarlo dal suo ufficio, ma questi acconsentirono solo dopo aver trovato persona che potesse reggere l’incarico dopo di lui; su consiglio di Ferchio stesso, si scelse Felice Rotondi, mentre il dimissionario ricevette provvisione annua di 400 ducati fino alla morte avvenuta nel 1669. Per testamento volle donare la sua biblioteca al convento della basilica del Santo (Poppi 2021).

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Abside, parete esterna alle cappelle radiali di destra, pilastro tra la cappella delle Benedizioni e cappella di Santa Rosa di Lima.

matriali e tecniche

Affresco, pietra bianca scolpita.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

L’opera è composta da due parti, l’una pittorica in affresco e la seconda scolpita. Alla prima è attinente la base con cartouche e coronamento con l’esaltazione della filosofia scotista, mentre all’altra i blasoni, i capricci decorativi e la pietra nera con dedicazione. Nella sommità della parte scultorea doveva campeggiare il ritratto del defunto, ma dal diciottesimo secolo risulta disperso sicché rimane il solo ovale, deserto. Una modalità rappresentativa che verrà usata più tardi per lo stesso committente di questo memoriale, il frate Felice Rotondi. Nella dicotomia dell’opera, sorreggono l’intero cenotafio due putti dipinti in pose leggere e scomposte avvolti in pannetti svolazzanti. A separarli una cartella che offre allo spettatore la prima iscrizione, in cui è rimarcata l’eccellenza dello studio francescano del Santo, luogo dal quale la Repubblica attingeva per colmare la cattedra di filosofia aristotelica di matrice scotista nello Studio pubblico. Sopra la testa dei putti, due volute dipinte, accompagnano la spinta verticale della memoria di Ferchio. Inizia dunque l’apporto della scultura, di autore dagli evidenti limiti nel trattamento del materiale, una prima cornice laterale è composta da erme femminili alate dal ventre gravido e cinte con una gonnella di foglie e ghirlande di frutta; tra loro un festone pendente reca nella parte centrale il blasone del commemorato. Secondo elemento decorativo prima della lastra nera ottagona è dato dalla teoria di libri rappresentati in tutte le pose possibili: aperti, di piatto, sguinciati, di lista. L’apice del monumento in cui doveva essere racchiuso il ritratto di Ferchio e che Gonzati vorrebbe bruciato nell’incendio del 1749 (Gonzati 1853) anche se Bigoni indica una perdita di «pochi anni» precedente (Bigoni 1816), è confinato in una teoria di volute ascendenti e culminanti in una testa di putto. Corona la memoria il trionfo di Duns Scoto circondato da elementi iconografici di dubbia attribuzione nei quali dovrebbero palesarsi soggetti apocalittici, ma che invece potrebbero riferirsi più propriamente a qualità morali e intellettuali. Sulla destra compare infatti la Filosofia con bacchetta e libro nella rappresentazione codificata da Cesare Ripa, a sinistra una figura incatenata che vista la vicinanza di un’aquila e la presenza della Vergine immacolata in alto a destra, ha fatto pensare a San Giovanni e la visione di Pathmos. Purtuttavia l’Aquila ha folgori tra gli artigli, mentre la figura del presunto san Giovanni è incatenata a Scoto. La prima potrebbe dunque riferirsi all’acutezza e altezza nel ragionamento, anche se le folgori cozzerebbero nella linearità dell’attributo; certamente sulla destra si trova il perno della filosofia francescana e non a caso è l’elemento verso cui lo stesso Scoto guarda: l’Immacolata, premio nella contemplazione della beatitudine finale. Inesistenti le ricerche su quest’opera ed erronea l’unica attribuzione al pennello di Lorenzo Bedogni da Reggio, molto attivo al Santo come architetto e progettista e ben introdotto a Padova grazie al maestro Luca Ferrari e alle frequentazioni, tra le altre, della famiglia Selvatico. Bedogni però lavora nella Bassa Sassonia tra il 1665 e 1670, mentre proprio nel settanta muore a Reggio. La supplica per l’erezione del monumento è invece del gennaio 1673 e non può dunque coincidere la data d’innalzamento della memoria Ferchio (Luisetto 1983). Come in molti altri passi della sua opera, Gonzati segnala la modestia nella realizzazione e la goffaggine del secolo, mentre ne annota i danni subiti nel tempo (Perisutti 1816; Gonzati 1853). Una campagna di restauro ha interessato il monumento nel 2019.

bibliografia

Giovanni Franchini, Bibliosofia, e memorie letterarie di scrittori francescani conventuali ch’hanno scritto dopo l’anno 1585, Eredi Soliani, Modena 1693, pp. 432- 454; Sigismondo da Venezia, Biografia serafica degli uomini illustri che fiorirono nel Francescano Istituto per santità, dottrina e dignità fino a’ nostri giorni, G.B. Merlo, Venezia 1846, p. 701; Giovanni Luisetto a cura di, Archivio Sartori, documenti di Storia e Arte francescana, Voll. IV, Biblioteca Antoniana-Basilica Antoniana, Padova 1983, vol I, pp. 676-677; Antonino Poppi, Ferchio Matteo, in Clariores dizionario biografico degli studenti e dei docenti dell’università di Padova, a cura di Piero Del Negro, Padova University press, Crocetta del Montello 2015, p. 152; Antonino Poppi, Lineamenti di una storia della comunità francescana del Santo dalle origini alle soppressioni napoleoniche (25 aprile 1810), in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 17-241: pp. 141, 200.

autore scheda

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