DE ROSSI GIOVANNI ANTONIO

biografia

Nato nel 1498 ad Alessandria e per questo detto anche l’Alessandrino, conseguì laurea e poi dottorato in utriusque iure (Perozzo 2015). Venne immediatamente ingaggiato dall’Università di Pavia per l’insegnamento del diritto civile, ma i pericoli e le incertezze sorte nel Ducato di Milano a causa delle guerre tra Francesco I di Francia e l’imperatore Carlo V, lo spinsero a spostarsi a Valence in territorio francese dove accrebbe la sua fama di accademico. Fu quindi chiamato a Torino da Carlo II di Savoia per ricoprire il ruolo di professore di diritto civile alla cattedra pomeridiana dello Studio torinese e, dall’anno successivo, fece parte del Consilium cum domino residens, organo amministrativo-giudiziario cardine nella gestione dei domini sabaudi al di qua delle Alpi (Porta 1693). Intanto Francesco Curzio, già professore nell’Università di Padova, segnalò alla Repubblica l’alto profilo dell’Alessandrino che venne quindi selezionato come sostituto dello stesso Curzio e, dopo la sua morte, come effettivo erede nell’insegnamento del diritto civile (Portenari 1623; Siracusano 2013). Rossi giunse a Padova nel 1531 e prese casa in contrada San Bernardino; Tommasini segnala che la carriera nello Studio padovano iniziò con la data 26 ottobre 1532, in cui compare in prima cattedra diurna (Tommasini 1654) e in due anni il suo stipendio accrebbe fino alla cifra di mille fiorini che in quel momento fu l’apice della retribuzione universitaria. La sua fama lo portò ad essere creato cavaliere da Carlo V, mentre nella città di Padova, a causa della sua irruenza, iniziò a serpeggiare attorno a lui malumore e ne scaturirono aspri confronti con il Soncin che ne accusò apertamente la tracotanza e l’incapacità nella condotta delle lezioni (Carrington 1996); all’opposto invece il rapporto con Marco Mantova Benavides con il quale parrebbe invece aver avuto un saldo legame (Siracusano 2013). Molti sono i testi e i consilia che portano il nome di questo giurista poi ristampati ben dopo la morte. Sposatosi con Margherita Nasera, Rossi ebbe otto figli di cui almeno uno, Francesco, seguì le orme paterne divenendo professore dello Studio. Giovanni Antonio rimase in cattedra fino al 1543 anno in cui l’artrite dovuta alla gotta che lo affliggeva lo costrinse al ritiro (Facciolati 1757); morì il 17 marzo 1544.

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Chiostro del Noviziato, lato nord.

provenienza

Padova, San Giovanni di Verdara, prima campata di sinistra.

matriali e tecniche

Pietra di Nanto.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Fa parte di quei monumenti che Selvatico (Selvatico 1869) individua come meritevoli d’essere preservati e che Andrea Gloria, allora direttore dei Musei Civici, provvide a ricoverare nei chiostri della basilica del Santo dall’ex chiesa di San Giovanni di Verdara, già convertita in caserma. Il monumento fu commissionato da Margherita, moglie di Gianantonio, a Vincenzo e Giovanni Girolamo Grandi in data 23 aprile 1545 (Rigoni 1970; Carrington 1996). Gli scultori, rispettivamente zio e nipote, dovevano realizzare entro un anno dalla stipula il sepolcro per l’illustre civilista per un saldo totale di cinquantacinque ducati. A Vincenzo è attribuita la composizione architettonica: una scatola prospettica sormontata da una splendida arca classica puntigliosamente rifinita. Giacciono poi sparpagliati sul sarcofago, sul piano orizzontale superiore e sulla balaustra da cui affaccia il ritratto del docente, una moltitudine di libri che richiamano indiscutibilmente l’affastellamento di volumi già messo in scena dai medesimi autori nella memoria Trombetta e che poco più tardi sarà proposto anche per quella dedicata a Simone Ardeo. Il ritratto a mezzobusto di Gianantonio, scolpito invece da Girolamo Grandi, abita la nicchia centrale e riproduce nel movimento, negli attributi e nell’interazione con i fruitori -in una parola nell’iconografia- l’immagine tipica del dotto in cattedra, ma in uno spazio temporale liminale per questo genere di raffigurazione. Un professore riprodotto in questa foggia, dopo la scultura ritratto ideata da Cattaneo nel 1550 per la memoria Bembo e a maggior ragione con la fusione realizzata dal medesimo autore per Lazzaro Bonamico nel 1554, sarà impensabile. Culmine qualitativo e chiosa finale nella rappresentazione iconografica del defunto in cattedra, sarà il successivo progetto per la tomba Ardeo, sempre realizzata dai due maestri della famiglia Grandi. Con la tomba De Rossi ci collochiamo quindi ancora nell’espressione diretta del ruolo dell’effigiato; il professore, un po’ corrucciato, è colto mentre, proteso verso l’auditorio, esplica il testo che tiene tra le mani. Probabilmente una maggior sinergia tra i due tagliapietre coinvolti nell’opera, fa sì che da un punto di vista prettamente funzionale, questa scultura sembri più reattiva e rispondente al contesto in cui è inserito (Siracusano 2013) rispetto al meraviglioso busto per Antonio Trombetta realizzato da Andrea Riccio circa ventuno anni prima. Contrariamente a quello però, questo parrebbe un po’ più “grossetto” e caricato nella fattura. In effetti la scarsa fluidità fisionomica potrebbe essere imputabile alla metodologia di produzione utilizzata e specificabile proprio alla luce del contratto di allocazione. Il modellato non fu cavato dal calco di una maschera funebre e dunque da materia tridimensionale, bensì dalla ripresa di un quadro che Margherita, moglie del docente, aveva fornito ai due scultori. La conseguenza potrebbe essere stata proprio questa stilizzazione dei tratti somatici. Per contro l’effigiato è riccamente vestito e imberrettato: lo avvolge un abito damascato sgualcito in corrispondenza dello stomaco proprio a causa del premere del ventre sulla balaustra di affaccio, mentre un soprabito dalle maniche generose che ricadono sul banco orizzontale è scolpito come un insieme di picchi e ampie valli. All’esaltazione del personaggio ritratto contribuiscono, oltre al prezioso anello della mano sinistra, la daga e gli speroni da cavaliere, elementi che contraddistinguono il rango a cui Carlo V l’aveva elevato attorno agli anni trenta del Cinquecento. L’architettura scolpita ospitante De Rossi si sviluppa a partire dalla cartouche con blasone familiare attorniato, in maniera perfettamente simmetrica, da motivi nastriformi ed elementi vegetali terminanti in volute. Aggetta quindi dalla parete la nicchia abitata in cui lo spessore del piano orizzontale è decorato con motivi spiraliformi, mentre verticalmente chiudono e creano le pareti laterali due volute scanalate dai piedi leonini, agghindate con festoni di frutta e fiori. Sono questi elementi a reggere il piano orizzontale su cui poggia il sarcofago; l’arca sommitale percorsa da una teoria di ghirlande appese ad anelli, porta centralmente il bassorilievo di un’aquila ad ali spiegate mentre lateralmente l’avello è decorato con volti mostruosi tratti dalle precedenti campagne artistiche condotte dagli scultori in trentino al servizio del vescovo di Cless (Siracusano 2013). Questo monumento ispirò direttamente il maestro impegnato nella tomba di Girolamo Cagnolo a San Francesco Grande: l’erede della cattedra che aveva ospitato De Rossi e suo conterraneo piemontese (Siracusano 2013; Siracusano 2021). Seppur danneggiato e mancante in alcune parti, il monumento a Gianantonio gode attualmente di buona salute grazie all’intervento di restauro, consolidamento e pulitura sorvegliato dalla Sovrintendenza nei primi anni del nuovo millennio (Spiazzi, Fassina 2009).

bibliografia

Angelo Portenari, Della felicità di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Padova 1623, p. 230; Jacobi Philippi Tomasini Gymnasium Patavinum, Nicolò Schiriatto, Udine 1654, p. 250; Giuliano Porta, Esemplari, e simolacri dignissimi delle virtù, stimoli potenti alle medeme, Eredi Ghisoli, Milano 1693, pp. 112-114; Jacobi Facciolati Fasti gymnasii Patavini, Giovanni Manfrè, Voll. II, Padova 1757, vol. I, pp. 155-156; Erice Rigoni, L’arte rinascimentale in Padova. Studi e documenti, Editrice Antenore, Padova 1970, pp. 228-229, 235; Giovanni Lorenzoni, Un possibile percorso tra le sculture, in Le sculture del Santo di Padova, a cura di Giovanni Lorenzoni Neri Pozza Editore, Vicenza 1984, pp. 219- 231: pp. 229-230; Elisa Mongiano, De Rossi Giovanni Antonio, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1991, vol. 39, pp. 198-199; Vasco Fassina, Anna Maria Spiazzi a cura di, I monumenti funerari nei chiostri della Basilica antoniana in Padova. Indagini e ricerche per la conservazione, Il Prato, Padova 2009, p. 23; Luca Siracusano, Scultura a Padova 1540- 1620 circa, Monumenti e ritratti, XXVI ciclo della scuola di dottorato in Studi umanistici dell’Università degli studi di Trento, supervisore Professore Andrea Bacchi, Trento 2013, pp. 301-307, 331-334, 503; Valetina Perozzo, De rossi Giovanni Antonio, a cura di Piero Del Negro, Clariores dizionario biografico degli studenti e dei docenti dell’università di Padova, Padova University press, Crocetta del Montello 2015, p. 133; Luca Siracusano, “Patria dalla quale sono usciti tanti scultori eccellentissimi”: dopo Donatello, fino alla fine del Cinquecento, in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 1071-1153: pp.1110-1112.

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