MARCHETTI PIETRO

biografia

Nacque nel 1589 a Padova, fu studente di medicina, probabilmente discepolo di Girolamo Fabrici d’Acquapendente e poi professore nell’Università di Padova. Ebbe quattro figli maschi (Boselli 1665) di cui si ricordano i nomi di Domenico, Antonio e Andrea in una supplica del 1676 (Semenzato 1984). Tre di questi furono laureati in filosofia e medicina e tra questi sicuramente Antonio e Domenico che si giovarono dell’esercizio paterno divenendo a loro volta docenti della disciplina medica, l’altro conseguì la laurea in diritto canonico e diritto civile. Vedova indicò che l’inizio dell’insegnamento di Pietro va collocato nel 1652, ma ciò parrebbe erroneo poiché Pietro fu chiamato dallo Studio nell’agosto del 1640 a causa del ritiro di Bonaventura Ferrari che non godeva di buona salute (Tosoni 1844), divenne quindi professore di anatomia in secondo luogo, o cattedra, e mantenne lo scranno fino alla pensione. Nel 1649 gli fu assegnato come assistente il figlio Domenico; quello stesso figlio che molto più tardi, alla data 1669, ereditò lo stesso insegnamento. Marchetti senior tenne anche le lezioni di chirurgia nel secondo luogo per il periodo di vent’anni, a partire dal 1652 (Vedova 1831) con stipendio di cinquecento fiorini annui, poi aumentati a seicentocinquanta (Papadopoli 1726). Iscritto al collegio padovano dei medici e filosofi nel 1642 gli fu dedicata una targa all’ingresso del teatro anatomico, dove viene indicato come degno erede del suo maestro Girolamo d’Acquapendente; venne inoltre creato cavaliere di San Marco il 30 maggio 1644. A lui sono attribuiti riusciti interventi di trapanazione del cranio per la cura dell’epilessia e per l’asportazione di corpi estranei, rimedi per ascessi al fegato e l’interesse nello studio di distaccamenti ossei causati, per la maggior parte, da armi da fuoco. Scrisse più di sessantanove osservazioni anatomiche tratte dalla propria esperienza chirurgica (Zanetti 1878) poi celebrati dalla comunità scientifica internazionale. Suo contemporaneo in cattedra, oltre al figlio, fu Angelo Molinetto. Ritiratosi dall’insegnamento il 22 ottobre 1669, con pensione annua di cinquecento fiorini, morì il 6 aprile 1673 (Papadopoli 1726).

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Navata sinistra, muro esterno della cappella della Madonna Mora, verso l’ambulacro.

matriali e tecniche

Marmo rosso di Verona, marmo bianco, pietra di paragone, stucco.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Con la supplica al consiglio cittadino del 7 febbraio 1677 i tre fratelli, Domenico, Antonio e Andrea ottennero la concessione, per loro e i parenti, d’essere sepolti nella chiesa del Santo (Gonzati 1853; Luisetto 1983). Il monumento funebre, se cominciato già due anni dopo quella data venne invece terminato molto più tardi, nel 1690, con la supervisione del solo Antonio Marchetti, che volle dunque commemorare la memoria del padre Pietro e del fratello Domenico morto due anni prima. Lui stesso in fine, nel 1730 venne deposto nel sepolcro terragno che si trova alla base dell’opera. L’apparato scultoreo, di per sé posizionato in uno spazio abbastanza contenuto, riesce invece ad essere guizzante grazie ad una composizione slanciata, altamente scenografica in cui si affastellano, oltre ai fieri busti dei due dedicatari, tre personaggi caratterizzati da una certa irrequietezza e gestualità, un putto, un bellissimo gallo (Gonzati 1853) e la morte stessa che impugna una tromba; un coacervo di elementi che, al di fuori evidentemente del gallo, Gonzati non poteva non biasimare. In una massiccia base ansata, resa sinuosa da un gioco di gole e convessità ben sagomate, sta la dedicazione a lettere d’oro su pietra nera lavorata però come un leggiadro drappo funebre sgualcito ai lati e con profonde pieghe nel corpo centrale accompagnato, nella sommità, da una clessidra alata e motto in cartiglio svolazzante. Dal fondo del panno faceva capolino il compositore della dedica: un teschio con il suo ‘braccio lungo, nudo, scarnato’ (Gonzati 1853) reggente una penna; perfettamente in linea, dunque, con le sensibilità di quel secolo e certamente calzante con la disciplina impartita dai due professori effigiati. Sfortunatamente tra il 1984 (Semenzato 1984) e il 1994 (Foladore 2009), l’arto della morte è stato spezzato e ciò è finalmente indicato nella guida di Ruzza (Ruzza 2019). Attualmente questo pezzo risulta disperso, nonostante venga descritto come ancora presente nel 2021 (De Vincenti, Guerrieri 2021). Sopra l’alta base stanno seduti, o meglio scomodamente e precariamente appoggiati a ripidi gradoni, tre figure di vecchi barbuti dalle vesti mosse e ben disegnate che aumentano la sensazione di precarietà dei corpi. I tre personaggi così sistemati, dovrebbero essere i padri della medicina: Ippocrate, Galeno e Avicenna con alla sua sinistra il gallo, già presente nel monumento Caimo, a indicare il sacrificio per Esculapio. Una possente muraglia di libri impilati e carte sapientemente lavorate si prestano ad essere le colonne per i busti di Pietro, che porta la catena dell’ordine di San Marco al collo, e Domenico. La fisionomia del primo è ripresa molto fedelmente dal ritratto d’antiporta stampato all’interno del volume dell’Anatomia scritto dal figlio Domenico e stampato nel 1654 (Marchetti 1654). Le effigi dei due chirurghi sono svelate dalla morte stessa che, spiegando le ali e irrompendo dall’alto, tiene saldamente il lunghissimo drappo in stucco dalle frange dorate sagomato da Pietro Roncaioli (De Vincenti, Guerriero 2021), mentre con la secca e ticchettante mano destra porta alla bocca una tromba. All’apice dello svettante obelisco in pietra di paragone troneggia tra le fiamme una fenice, promessa di resurrezione e d’immortalità. Questa potente macchina celebrativa è firmata dall’autore Giovanni Comin nell’angolo in basso, un artista considerato, e non a torto, uno dei migliori scalpelli che vi fossero nella Repubblica. Il lessico qui sperimentato e appreso nell’Urbe berniniana dove studiò durante gli anni giovanili (Favilla, Rugolo 2016) oltre che dall’irrompere di Parodi in Veneto, venne riproposto a pochi mesi dal termine della posa per i Marchetti, nei monumenti di Santa Maria Formosa commissionati dal ricco Turin Tonon e tragicamente distrutti dai bombardamenti austriaci del 9 agosto 1916. Al Santo, come collaboratore per la posa e la realizzazione delle parti in stuccoforte, venne ingaggiato Pietro Roncaioli, artista già presente in basilica nei medesimi anni come decoratore, su progetto parodiano, della Cappella delle Reliquie.

bibliografia

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autore scheda

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