CAIMO GIACOMO

biografia

Il cavaliere Giacomo Caimo, nipote di Eusebio, Pompeo e Quintilio, fu il figlio di Marcantonio e di Adriana Rinolda, esponente di una famiglia udinese che, come i Caimo era stata aggregata alla nobiltà cittadina a partire dal Cinquecento. Marcantonio ebbe otto figli e per settimo, il 24 agosto 1609 nacque Giacomo che fu posto fin dalla giovinezza presso il seminario patriarcale di Udine. Appena decenne lo zio Eusebio lo portò con sé a Roma presso l’altro fratello del padre, Pompeo, che nella sua ascesa professionale era riuscito a ricavare per il nipotino un ruolo da paggio nella corte del principe Peretti, fratello del cardinale Alessandro Montalto (Liruti 1830). Venne dunque spinto allo studio delle lingue classiche e della filosofia nell’Urbe dove visse per cinque anni, dal 1619 al 1624, termine questo coincidente con la chiamata e lo spostamento a Padova di suo zio Pompeo. Durante questo lasso di tempo prese i voti minori e si improntò, come del resto tutta la schiatta familiare, a un atteggiamento filocuriale e ortodosso che mantenne per tutta la vita. A Padova lo zio medico che si occupava di Giacomo al posto del padre, accusato di ampia negligenza nei confronti di tutta la prole, volle indirizzarlo allo studio del diritto. Posto quindi sotto la tutela di Bartolomeo Vecchi professore del diritto civile, Giacomo, come il nonno omonimo prima di lui e l’altro zio Eusebio vescovo vicario di Aquileia, conseguì il titolo di dottore in utroque iure il 6 giugno 1629 . Nel medesimo anno morì uno dei tre fratelli del padre, Quintiliano, che lo indicò come erede del canonicato di Santa Maria di Udine; il 30 novembre 1631 seguì un altro lutto familiare, si spense infatti il mentore e tutore Pompeo e, nonostante la gravosa situazione, il defunto cercò di agevolare e favorire il giovane indicandolo come esecutore delle volontà assieme al fratello Carlo e allo zio Eusebio. Gli assicurò così una certa notorietà nella Repubblica legandone il nome alla vasta collezione libraria e alla donazione effettuata in beneficio prima dello Stato poi dell’Università che su quel consistente nucleo creò la biblioteca dello Studio di Padova, allora posta nella Sala dei Giganti (Scoto 1672). Come premeditato da Pompeo, la famiglia Caimo restò perpetuamente illuminata e nella tragica contingenza accrebbe il consenso dell’Università attorno al giovane Giacomo. L’alta considerazione goduta da questa casata e vista la solerzia negli studi, complice la decisione di allontanarsi dalla carriera ecclesiastica, fecero si che con il 1632 Giacomo iniziò l’insegnamento su una cattedra minore per lo stipendio di centocinquanta ducati. Entro il 1640, dopo aver accresciuto prestigio e insegnamenti impartiti, sempre in cattedre considerate minori, la sua paga accrebbe a seicento ducati e di pari passo aumentarono gli ingaggi da parte di altri stati affinché si portasse nei loro atenei. Già entro gli anni quaranta del Seicento aveva declinato la prima cattedra di Pavia, di Bologna, di Messina; fu questa una costante di Giacomo che rifiutò per tutta la vita più cospicui salari e posizioni al di fuori della Serenissima. Intanto veniva ricercato come consulente dal comune di Padova, di Udine e divenne consultore in iure, ovvero giudice chiamato a consigliare i massimi organi dello Stato su questioni di grande delicatezza, per le magistrature della Repubblica (Bovo 2015). I frangenti per cui venne interpellato furono la conquista di Castro da parte dei Barberini e l’impugnazione di alcuni privilegi dei feudatari di Codroipo. In dono, oltre alla remunerazione economica e all’indiscutibile prestigio, ne trasse lo scranno del secondo luogo serale di diritto civile, segno tangibile della sua ascesa e che a quanto pare, fu ritenuto comunque insufficiente alle sue doti; nel 1651 venne infatti spostato al primo insegnamento del civile, un ruolo che solitamente era attribuito non tanto ai cittadini della Repubblica, ma principalmente ai professori ingaggiati all’esterno della Nazione e per questo definiti foresti (Liruti 1830). Neanche a dirlo, conseguì l’ennesimo aumento retributivo che ammontava ormai a novecento ducati e giunse, alla fine della carriera, alla strabiliante cifra di millenovecento. Ancora una volta gli si prospettavano altri incarichi da parte di grandi Università e regnanti europei: rifiutò l’assunzione a consigliere del duca di Baviera, uno scranno all’università di Pisa, di Parma, e un’intercessione di Ottavio Ferrari da parte del senato di Milano che lo tentava nuovamente con la cattedra di Pavia e altri ruoli istituzionali. Tra i pochissimi che riuscirono a intercettare un suo assenso vi fu il cardinale Rinaldo d’Este del quale aveva comunque già rifiutato un ruolo a corte. Nel 1662 si allontanò per la prima volta dallo scranno padovano per recarsi cinque mesi a Roma a patto che ciò non inficiasse sulla ripresa dei corsi dell’anno successivo. Dopo quarant’anni di carriera morì il 24 febbraio 1679 a Padova e suoi eredi testamentari furono i figli di suo fratello Paolo. Oltre agli impegni universitari e pubblici, legò il suo nome all’Academia dei Ricovrati e fu nume tutelare per la Nazione Ultramarina che iscriveva tra i suoi componenti quegli studenti provenienti dalle isole del dominio e dal mondo greco. Suo grande amico, non a caso, fu Giovanni Cottunio, fondatore dell’omonimo collegio per studenti greci e a cui Giacomo dedicò, oltre all’iscrizione dell’epigrafe posta nel chiostro del Capitolo del Santo, una raccolta di poesie per onorarne la memoria.

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Primo pilastro di sinistra, rivolto verso l’abside.

matriali e tecniche

Marmo mischio, marmo, pietra di paragone.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Il cenotafio commemorante i defunti Giacomo, Eusebio e Pompeo della famiglia Caimo fu allocato nel 1681 a Bartolomeo Muggini, già collaboratore degli scultori della famiglia Albanese e di Matteo Allio. I committenti furono Pompeo e Paolo, due fratelli di Giacomo qui effigiato, figli di Marcantonio dunque nipoti del vescovo Eusebio e del professore Pompeo. Già nel 1633 era stato concesso uno spazio in basilica al vescovo di Cittanova per eternare il fratello medico trapassato due anni prima, ma a causa della «morte del medesimo Prelato e altri accidenti» (Luisetto 1986), il monumento non fu mai messo in opera. Solo nel 1680 i discendenti Caimo ottennero un nuovo spazio e permesso per l’erezione della memoria, con la condizione che entro tre anni fosse terminata l’opera. La scelta dello scultore cadde quindi su di un protetto del conte Giacomo De Lazara; un lapicida non di primo piano, ma che in città godeva di buon credito e commissioni. La familiarità con Padova e in particolare con De Lazara sono state analizzate da Valentina Casarotto (Casarotto 2015) che nelle sue ricerche ha individuato lo spendersi in prima persona del nobile e la conseguente chiamata da parte degli eredi Caimo. La spesa sborsata in […] elegantissimi operis (Salomonio 1701) sembrerebbe essere stata di almeno 660 ducati (Casarotto 2015; De Vincenti, Guerra 2021). L’ottocentesco censore Gonzati pur ammettendo certamente la magnificenza delle pietre utilizzate, annichiliva per il pessimo affastellamento dell’insieme (Gonzati 1853). Nei quattro livelli sovrapposti di cui l’opera si compone, è palese un certo ritorno al gusto lessicale del tardo Cinquecento e particolarmente calzante sembrerebbe il confronto con il monumento dedicato a Girolamo Girelli, scolpito da Campagna ben cento anni prima, dal quale è ripreso, moltiplicato ed esacerbato, il modulo compositivo. Un afflato che viene tenuto da Muggini nonostante in basilica siano già manifeste le nuove direttrici espressive e trionfalistiche rappresentate da due contemporanei fuoriclasse rispondenti ai nomi di Filippo Parodi e Giusto Le Court. Gli elementi focali del progetto ovvero i ritratti dei commemorati, si trovano nel corpo centrale dell’architettura e sono accompagnati delle dediche incise in pietra di paragone, inserite in carotuche pesantemente ornate con sfingi, grottesche e volti di serafini; Pompeo è posto sulla sinistra, vestito con soprabito in broccato e portante al collo la catena con cui era stato insignito a Roma, sulla destra si trova invece il nipote Giacomo che tra tutti è il più audacemente e attentamente condotto, mentre al centro in posizione rialzata rispetto agli altri, è posto Eusebio, vescovo di Cittanova – Novigrad – e vicario del patriarca di Aquileia. Sulla medesima quota di quest’ultima effige, in posizione angolare e sopra piedistalli, sono poste due sculture allegoriche di cui quella a destra reggente il gallo è interpretabile come citazione dal Fedone platonico e dunque riferibile a Esculapio. Svetta su questa ingombrante manufatto una trabeazione a ellisse ribassata retta da erme femminili, su di essa siedono due morbidi putti che seppur intenti a sfogliare un libro, torcono il capo nella direzione opposta, in uno sforzo plastico contrastante rispetto alla ieraticità dei commemorati.  Chiosa verticale al conglomerato ideato da Muggini, il grande blasone familiare con cimiero dalla forma di cane rampante.

bibliografia

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autore scheda

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