MARCHETTI DOMENICO

biografia

Figlio di Pietro, fratello maggiore di Antonio e Andrea. Per Vedova nacque nel 1626 (Vedova 1831) e seguì le orme paterne divenendo professore di anatomia e chirurgia. Fu scolaro di Johann Wesling (Leti 1676; Vedova 1831) e viene ricordato per aver dimostrato i collegamenti del circuito venoso e arterioso. Gli storici della medicina sono invece in dubbio nel riconoscergli un’operazione ai reni su “Hobson console inglese della sua nazione”; l’effettiva esistenza dell’intervento, la sussistenza o meno di calcoli asportati (Nessi 1758), la stessa identità del paziente non sono per nulla pacifici, a maggior ragione tenuto conto del fatto che Domenico descrisse e stampò le lezioni tenute all’Università e gli interventi eseguiti, ma questo non vi figura. D’altro canto, l’operazione dovrebbe essere stata condotta verso il termine della sua vita ovvero dopo gli anni ottanta del Seicento e dunque è plausibile che non abbia avuto il tempo per descriverla. Il suo cursus come docente cominciò nel 1649 per lo stipendio di cinquanta ducati con il ruolo di assistente anatomista, o prosecatore, in affiancamento al padre professore anatomista in seconda cattedra. Passò quindi alla lettura della chirurgia, tolta ad Antonio Molinetto che divenne primo anatomista dello Studio a cui era stata aggiunta anche la prima cattedra di medicina teorica. Lo stipendio intanto accrebbe a centocinquanta fiorini annui (Papadopoli 1726) e con il 1669 (Tosoni 1844), il padre gravato dal peso dell’età andò in pensione lasciando la seconda cattedra di anatomia al figlio che dunque si trovò a tenere due distinte lezioni. Gli ultimi anni di vita lo videro alternarsi dal 1680 al 1683 nell’insegnamento di medicina straordinaria, nel 1682 venne nuovamente portato al tavolo anatomico in primo ruolo, e dunque alla lettura di chirurgia (Gloria 1887); in tutto questo raggiunse lo stipendio annuo di mille fiorini. Le lettere a lui indirizzate e raccolte da Carlo Torta cancelliere universitario, dimostrano quanto i patrizi e le teste coronate europee lo ricercassero per suoi servigi e consulti (Vedova 1831). Morì il 2 luglio 1688 a sessantatré anni (Papadopoli 1726).

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Navata sinistra, muro esterno della cappella della Madonna Mora, verso l’ambulacro.

matriali e tecniche

Marmo rosso di Verona, marmo bianco, pietra di paragone, stucco, ottone.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Con la supplica al consiglio cittadino del 7 febbraio 1677 i tre fratelli, Domenico, Antonio e Andrea ottennero la concessione, per loro e i parenti, d’essere sepolti nella chiesa del Santo (Gonzati 1853; Luisetto 1983). Il monumento funebre, se cominciato già due anni dopo quella data venne invece terminato molto più tardi, nel 1690, con la supervisione del solo Antonio Marchetti, che volle dunque commemorare la memoria del padre Pietro e del fratello Domenico morto due anni prima. Lui stesso in fine, nel 1730 venne deposto nel sepolcro terragno che si trova alla base dell’opera. L’apparato scultoreo, di per sé posizionato in uno spazio abbastanza contenuto, riesce invece ad essere guizzante grazie ad una composizione slanciata, altamente scenografica in cui si affastellano, oltre ai fieri busti dei due dedicatari, tre personaggi caratterizzati da una certa irrequietezza e gestualità, un putto, un bellissimo gallo (Gonzati 1853) e la morte stessa che impugna una tromba; un coacervo di elementi che, al di fuori evidentemente del gallo, Gonzati non poteva non biasimare. In una massiccia base ansata, resa sinuosa da un gioco di gole e convessità ben sagomate, sta la dedicazione a lettere d’oro su pietra nera lavorata però come un leggiadro drappo funebre sgualcito ai lati e con profonde pieghe nel corpo centrale accompagnato, nella sommità, da una clessidra alata e motto in cartiglio svolazzante. Dal fondo del panno faceva capolino il compositore della dedica: un teschio con il suo ‘braccio lungo, nudo, scarnato’ (Gonzati 1853) reggente una penna; perfettamente in linea, dunque, con le sensibilità di quel secolo e certamente calzante con la disciplina impartita dai due professori effigiati. Sfortunatamente tra il 1984 (Semenzato 1984) e il 1994 (Foladore 2009), l’arto della morte è stato spezzato e ciò è finalmente indicato nella guida di Ruzza (Ruzza 2019). Attualmente questo pezzo risulta disperso, nonostante venga descritto come ancora presente nel 2021 (De Vincenti, Guerrieri 2021). Sopra l’alta base stanno seduti, o meglio scomodamente e precariamente appoggiati a ripidi gradoni, tre figure di vecchi barbuti dalle vesti mosse e ben disegnate che aumentano la sensazione di precarietà dei corpi. I tre personaggi così sistemati, dovrebbero essere i padri della medicina: Ippocrate, Galeno e Avicenna con alla sua sinistra il gallo, già presente nel monumento Caimo, a indicare il sacrificio per Esculapio. Una possente muraglia di libri impilati e carte sapientemente lavorate si prestano ad essere le colonne per i busti di Pietro, che porta la catena dell’ordine di San Marco al collo, e Domenico. La fisionomia del primo è ripresa molto fedelmente dal ritratto d’antiporta stampato all’interno del volume dell’Anatomia scritto dal figlio Domenico e stampato nel 1654 (Marchetti 1654). Le effigi dei due chirurghi sono svelate dalla morte stessa che, spiegando le ali e irrompendo dall’alto, tiene saldamente il lunghissimo drappo in stucco dalle frange dorate sagomato da Pietro Roncaioli (De Vincenti, Guerriero 2021), mentre con la secca e ticchettante mano destra porta alla bocca una tromba. All’apice dello svettante obelisco in pietra di paragone troneggia tra le fiamme una fenice, promessa di resurrezione e d’immortalità. Questa potente macchina celebrativa è firmata dall’autore Giovanni Comin nell’angolo in basso, un artista considerato, e non a torto, uno dei migliori scalpelli che vi fossero nella Repubblica. Il lessico qui sperimentato e appreso nell’Urbe berniniana dove studiò durante gli anni giovanili (Favilla, Rugolo 2016) oltre che dall’irrompere di Parodi in Veneto, venne riproposto a pochi mesi dal termine della posa per i Marchetti, nei monumenti di Santa Maria Formosa commissionati dal ricco Turin Tonon e tragicamente distrutti dai bombardamenti austriaci del 9 agosto 1916. Al Santo, come collaboratore per la posa e la realizzazione delle parti in stuccoforte, venne ingaggiato Pietro Roncaioli, artista già presente in basilica nei medesimi anni come decoratore, su progetto parodiano, della Cappella delle Reliquie.

bibliografia

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autore scheda

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