biografia
Nicolò Raimondi da Monselice ebbe per padre Nicolò, mentre il nome della madre rimane oscuro; dal testamento redatto nel 1413 si apprende che ebbe almeno una sorella di nome Antonia. Seguendo le orme dello zio Giovanni Francesco (Foladore 2009), medico e professore dell’Università di Padova, raggiunse la laurea nel 1371, venne ascritto al collegio dei dottori e si recò inizialmente ad esercitare la professione a Piove di Sacco. Qui rimase assai pochi mesi poiché già nel 1372 figura nella matricola dei medici padovani; in questo sodalizio di professionisti dell’arte restò anche eletto a più riprese nel vertice decisionale chiamato banca, ma nel 1375 rifiutò una nuova carica e si trasferì a Montagnana dove lavorò sicuramente per più di sette anni prima di ritornare nella città del Santo. È testimoniato a Padova a partire dal 1387 (Gloria 1888), assunto dallo Studio in qualità di professore di chirurgia. Nel 1393 uno studente di nome Lorenzo, di origine veneziana (Gloria 1888), rifiutato nel dottorato da questo docente e dal collega Jacopo Zanetti, li offese tacciandoli di essere illetterati e ignoranti; la cosa si ripropose poco tempo dopo con lo studente Apollonio da Brescia (Pesenti 1984); in entrambi i casi Raimondi chiese severi provvedimenti al collegio dell’arte. Fu sposato in prime nozze con Orsola, nipote del notaio Francesco dalla Boccetta e per seconda moglie prese Pace dal Torchio di Monselice. Morì dopo il 13 settembre 1413, giorno della stesura dell’ultimo testamento, venne quindi sepolto nella basilica di Sant’Antonio nella stessa tomba dove era deposto un figlio di nome Bartolammeo. Sua prima erede fu la sposa (Carrington 1996) e quando anche questa cessò di vivere nel 1424, venne redatto l’inventario della libreria di famiglia. L’incaricato la descrisse come ‘povera e arretrata’ (Pesenti 1984) e venne divisa tra i figli superstiti: Nicolò, Paolo, Giovanni e Nicolò Bartolomeo.
tipologia tomba
ubicazione
posizione nell'edificio
Chiostro del Capitolo, parete settentrionale, lato nord, sopra il sarcofago di Bonjacopo Sanvito.
autori
matriali e tecniche
Pietra grigia scolpita con lacerti pittorici.
stato di conservazione
note storico-critiche
Ancora nel medesimo luogo in cui era posto originariamente (Foladore, 2009), l’avello di Nicolò Raimondi, in posizione apicale sulla parete settentrionale del chiostro del Capitolo, è la prima e unica rappresentazione quattrocentesca con iconografia del dotto in cattedra a oggi presente nella basilica del Santo. Il sepolcro ha struttura e apparato decorativo certamente modesti; retta da robusti modiglioni scolpiti nello spessore con motivi fogliacei, presenta la sola immagine del cattedratico nell’atto di recitare la lezione. Nicolò è ritratto nel bassorilievo della formella centrale e se confrontato con la raffigurazione del suo contemporaneo Bonjacopo Sanvito, nel sepolcro immediatamente al di sotto, si palesa quale distanza sussista tra i maestri lapicidi dell’ultimo decennio del Trecento e quelli del primo del Quattrocento. Momento poroso e di confronto con la tradizione, nella tomba di Nicolò rimane l’apparato decorativo, l’iconografia e non mutano poi molto le fogge degli abiti né la fattura del mobilio; si modifica invece il pensiero sotteso alla rappresentazione spaziale con l’ormai galoppante allontanamento dalla percezione di tipo trecentesco che aveva dato i suoi frutti migliori proprio a Padova con gli affreschi di Giusto. Certamente non sussiste l’esatto e ligio rispetto di regole matematiche che si stavano imponendo nella città di Firenze, ma una collocazione credibile e più naturale dell’insegnante, con gambe giunte, avvolto nella sua lunga veste, intento a recitare la lezione; un paragone instaurabile a stretto giro d’anni dal sepolcro Raimondi, è costituito dagli illustri padovani scolpiti al di sopra delle porte del Palazzo della Ragione padovano. Sull’avello di Nicolò non sussistono altre formelle scolpite e non è dato sapere se ve ne fossero. Le specchiature lisce della parte anteriore sono quindi perimetrate da colonnine tortili e da lunghe cornici dentellate, mentre il bordo superiore presenta la foggia a foglie carnose dei modiglioni inferiori. Tra le due mensole, immediatamente al di sotto dell’arca, trovano posto il blasone, l’epigrafe con dedica al defunto ed elmo scolpito con il cimiero identificativo. Il brano epigrafico analizzato da Foladori presenta un’immagine unica e potente nel corpus dei sarcofagi qui presenti e indica l’altezza culturale del committente o dell’ideatore. Viene infatti richiamata Atropo, l’austera parca preposta al taglio del filo della vita (Foladore 2009; Foladore 2021).
bibliografia
Bernardinii Scardeonii De antiquitate urbis patavii et claribus civis patavini, ex officina Nicolai Episcopii iunioris, Basilea 1560, p. 208; Jacobi Salomoni Urbis Patavinae inscriptiones sacrae, et prophanae, Johannes Baptista Caesari, Padova 1701, p. 403; Andrea Gloria, Monumenti della Università di Padova (1318-1405), Tipografia del Seminario, Padova 1888, pp. 402-403; Tiziana Pesenti, Professori e promotori di medicina nello studio di Padova dal 1405 al 1509. Repertorio bio-bibliografico, Edizioni Lindt, Padova-Trieste 1984, pp. 170-171; Jill Emilee Carrington, Sculpted tombs of the professors of the University of Padua c. 1353 c. 1557, Art dissertation, Syracuse University 1996, pp. 357-358 ; Giulia Foladore, Il racconto della vita e la memoria della morte nelle iscrizioni del corpus epigrafico della basilica di Sant’Antonio di Padova (secoli XIII- XV), XXI ciclo della scuola di dottorato in Scienze storiche dell’Università di Padova, supervisori Professoressa Nicoletta Giovè Marchioli, Professore Antonio Rigon, 2009 Padova, vol. I p. 157, 185, 221, 119 ; Vol II pp. 70-71, 234-236; Giulia Foladore, Il ricordo della vita e la memoria della morte nelle epigrafi e nelle tombe al Santo, in La pontificia basilica di Sant’Antonio in Padova a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 1459-1474: p. 1464.