tipologia tomba
ubicazione
posizione nell'edificio
Parete esterna alla cappella della Madonna Mora.
provenienza
Padova, Basilica di Sant’Antonio, abside, dinnanzi alla terza cappella radiale di sinistra dedicata a San Giovanni.
autori
matriali e tecniche
Pietra d’Istria, broccatello rosso veronese.
stato di conservazione
note storico-critiche
L’arca di Raffaele Fulgosio è un maestoso monumento (Segarizzi 1902) che, come sottolinea Gonzati, andò ben oltre le previsioni testamentarie dell’effigiato (Gonzati 1853). L’edicola era collocata tra i pilastri dell’abside dinnanzi alla cappella di San Giovanni Battista e dunque venne pensata come osservabile sia frontalmente che di tergo; l’opera consta di cinque livelli egualmente ripartiti nei due prospetti e suddivisibili in uno zoccolo con epigrafi dedicatorie, una fascia con personificazioni di virtù – quattro cardinali più la speranza e la carità inserite in nicchie intervallate da pilastri corinzi –, un terzo livello con cartiglio dedicatorio interamente svolto da cherubini, mentre sul fronte opposto una decorazione a roselline funge da base per tre formelle quadrilobate in cui sono scolpiti Cristo passo, la Vergine alla sua sinistra e san Giovanni evangelista a destra. Il gisant del defunto si trova sopra questa struttura ed è doppio e speculare sui due lati dell’arca; questa iconografia è ormai una prassi celebrativa consolidata qui al Santo fin dall’avvento del sarcofago di Raniero degli Arsendi. Il cattedratico ritratto veste la toga dell’uomo di legge e la dimestichezza con gli strumenti della cultura è reiterata dalla presenza del libro stretto al petto e da quelli presenti ai suoi piedi. A vegliare sulla salma scolpita, due luttuosi astanti per ogni lato. L’apice del mausoleo è costituito da un baldacchino cuspidato e decorato con foglie d’acanto in cui si mostra al centro, tra racemi fogliati, il blasone Fulgosio. Corre al di sotto il motivo dei drappelli con imprese della famiglia alternate a rose mentre ai lati scendono le cortine che, avviluppandosi e ricadendo agli estremi del monumento, si aprono come una quinta sul cataletto dai piedi leonini. Foladore individua nella sepoltura di Raffaele Fulgosio un momento di ridefinizione politica degli spazi basilicali (Foladore 2009), un ormai compiuto avvicendamento tra signoria carrarese e repubblica del Leone avvenuto nella città di Padova. Se antecedentemente al 1405 la stragrande maggioranza degli illustri personaggi che qui si facevano inumare avevano saldi interessi nella dinastia del Carro, tanto da caratterizzare il santuario e le sue prossimità come un’appendice del potere costituito, ora invece questo ruolo cessa. Iniziarono inoltre a essere sepolti gli attuatori o collaboratori dei nuovi signori e proprio tra i primi in questo senso è collocabile Fulgosio che ricoprì diversi incarichi pubblici per la Serenissima (Foladore 2009). Nel suo testamento il Monarca chiedeva una tomba, o arca, onorevole nella quale si sarebbe dovuto spendere tutto ciò che i padri francescani avrebbero concesso. Il Professore lasciò alla Basilica mille lire affinché fosse iscritto tra i benefattori della Chiesa e ricordato, dopo la sua dipartita, il settimo, trentesimo, centesimo giorno e perpetuamente nell’anniversario della morte (Carrington 1996). Fulgosio spese poi cinquecento lire per l’allocazione del luogo e lasciò centocinquanta ducati d’oro per la pompa funebre. Il contratto per l’erezione del sepolcro datato 5 marzo 1429, porta la firma della vedova e venne commissionato a Pietro Lamberti da Firenze (Rigoni 1972); vengono qui specificati tutti gli elementi decorativi e la posizione dell’arca nell’intercolumnio davanti alla cappella di San Giovanni Battista. L’opera doveva essere nella sua fase finale, se non già completata, dall’ottobre 1430 poiché il maestro Lamberti già trasferito a Verona lasciava a Padova il solo Giovanni di Bartolomeo a riscuotere alcuni pagamenti (Rigoni 1972); senza dubbio era stata portata a termine nei suoi apparati lapidei prima del 15 gennaio 1431, data in cui si procedeva all’ingaggio di Giovanni di Nicolò d’Alemagna che si sarebbe occupato di stendere, entro maggio, le pitture dai colori fini e preziosi sull’arca, ornarne le prossimità e il pavimento per il compenso di cinquanta ducati. L’intera decorazione della lastra tombale è andata irrimediabilmente persa nel 1651 quando tra il 22 giugno e il 13 luglio Gianfrancesco Dotto e padre Maggiolo (Gonzati 1853; Lorenzoni 1984; Baldissin 2020), reggenti della Basilica, ebbero il consenso dai deputati della Città per lo spostamento del sepolcro dall’ambulacro del coro al muro attinente alla cappella Obizi dove tutt’oggi si vede. Nell’Ottocento Pietro Selvatico, pur considerandola magnifica, reputava che l’avello, a causa della commistione tra un linguaggio ancora prerinascimentale ed elementi che guardavano al nuovo lessico quattrocentesco, dovesse essere un innesto di più pezzi riutilizzati dallo scultore a cui era stata allocata l’opera (Selvatico 1869). La critica successiva (Rigoni 1970; Lorenzoni 1984) evidenziò invece la coerenza delle parti e indicò, proprio negli elementi notati dal Selvatico, il punto nodale per la storia dell’arte e la porosità di quel momento storico: un preciso passaggio tra le epoche che rendono il monumento Fulgosio catalizzatore delle profonde spinte tra il nuovo che avanzava e il retaggio di un lessico in via di superamento. In accordo con quest’analisi, una tra le molte riflessioni possibili e delle più interessanti deriva dall’accostamento tra il mausoleo di Padova e quello per l’antipapa Giovanni XXIII, rappresentato al Concilio di Basilea proprio dal docente. Gli autori fiorentini impegnati al Santo, ben prima del soggiorno veneto di Donato de Bardi ripresero, a pochi anni dal suo svelamento nel 1427-28, elementi del sepolcro Coscia, considerabile uno degli archetipi rinascimentali per questo genere di commemorazioni.
bibliografia
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