ARSENDI RANIERO

biografia

Raniero della famiglia degli Arsendi ebbe per padre Pietro e nacque a Forlì verso la fine del Duecento in ambiente strettamente guelfo. Studiò diritto civile nell’ateneo bolognese e addottoratosi entro il 1319 iniziò l’insegnamento dal medesimo anno o nel successivo, a testimoniarlo vi sono gli scritti di Tommaso Diplovataccio e il codice Vat. lat. 2638 custodito presso la Biblioteca Apostolica Vaticana (Abbondanza 1962). Raniero fu anche avvocato nella città natale, ma proprio a causa della presa di potere delle famiglie ghibelline (Brandi 1885) capeggiate dagli Ordelaffi, gli Arsendi fuoriuscirono e si stanziarono nel ravennate; solo nel 1372 le proprietà familiari lì accumulate furono liquidate da Argentino degli Arsendi, figlio di Raniero, cittadino padovano e influente politico locale. Dopo lo spostamento a Ravenna continuò l’esercizio nel foro nella città di Bologna e mantenne l’insegnamento del diritto civile presso l’Università. Intanto il suo prestigio aumentava e tra gli anni 1326 e 1327 divenne assessore del podestà di Siena e poi collaterale del vicario del duca di Calabria. Le guerre tra fazioni intanto flagellavano i comuni italiani e proprio nella città felsinea, a causa della cacciata del legato pontificio di Giovanni XXII e della conseguente presa di potere di Taddeo Pepoli, il nuovo papa Benedetto XII lanciò scomunica e interdetto. Anche in questo caso Raniero dovette allontanarsi e nel 1338 interruppe l’insegnamento bolognese per riparare a Castel San Pietro con altri professori e parte degli studenti. Essendo ormai giurista di gran fama, venne assunto come primo professore dall’Università di Pisa, sempre per il diritto civile e li rimase fino al 1344, anno in cui Ubertino da Carrara lo cercò per lo Studio di Padova offrendogli uno stipendio di 600 ducati. Allettato dall’offerta si trasferì definitivamente sotto le insegne del Carro, dove partecipò attivamente alla vita accademica, continuando la sua professione giuridica, fu interpellato come consulente dal governo marciano e fu molto probabilmente consigliere degli stessi signori padovani che plausibilmente lo crearono cavaliere. Morì il 6 aprile 1358 (Gallo 2015). Ebbe almeno due figli: Federico, di cui è certa la fine prima del 1377 e Argentino che seguì le orme paterne divenendo professore di diritto nello Studio cittadino, ambasciatore, consigliere dei Carraresi e come Raniero al termine della vita scelse di essere tumulato al Santo.

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Chiostro del Capitolo, lato sud.

matriali e tecniche

Arcosolio dipinto nell’intradosso, pietra grigia scolpita, marmo.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Una prima testimonianza della presenza di questo sarcofago compare nel Libellus de magnificis ornamenti Regie Civitatis Padue scritto dall’umanista padovano alla corte estense, Michele Savonarola (Segarizzi 1902; Wolff 2002). Il testo databile tra prima e seconda metà del Quattrocento, indica il defunto come un luminoso professore del secolo precedente e pur descrivendo l’arca in maniera sommaria, la pone in quello stesso luogo dov’è visibile oggi. Manifesto il richiamo formale alle arche carraresi custodite oggi nella chiesa dei Santi San Filippo e Giacomo degli Eremitani, un modello per la scultura trecentesca settentrionale e dei territori legati alle sfere di influenza della Serenissima (Wolters 1974; 1984; Murat 2013); non per nulla, prima degli studi effettuati da Wolters sulla scultura gotica veneta, si tendeva a identificare l’autore di questo monumento nello stesso Andiolo De Sanctis, fuoriclasse veneziano più volte ingaggiato anche dai nobili padovani. Lo studioso, con tutte le limitazioni del caso e le problematiche riconducibili a una società o bottega di artisti, sottolinea certamente le vicinanze alla cultura andriolesca e una medesima maestranza rispetto alla tomba di Giovanni della Scala in Santa Maria Antiqua di Verona, ma esclude il coinvolgimento diretto del veneziano Andriolo nella realizzazione. Una bottega terribilmente affaccendata, colma di scadenze e ritardi nelle consegne per cui, come indicato da principio nei saggi di Wolters e successivamente ribadito da Cavazzini, le stesse grandiose tombe dei signori Da Carrara, al di fuori dell’apparato pittorico, non videro la solo maestranza orbitante attorno ad Andriolo impegnata nel progetto decorativo (Wolters 1974; Cavazzini 2013). Il monumento di Raniero, certamente compromesso rispetto alla sua ideazione originaria, è composto da un arco a sesto acuto modanato sotto il quale è posto il sarcofago a nicchie tripartito frontalmente. Nello scomparto centrale, l’edicola aggettante è abitata dalla Vergine incoronata e seduta in trono, con il Bambino tra le braccia oggi mutilo della mano benedicente e danneggiato nel volto. La struttura in cui è posta la Madre di Dio ibrida un’absidiola con calotta a conchiglia e un trono; il riferimento a De Santi si fa molto stringente se si confrontano le diverse Madonne attribuite a lui e alla sua cerchia, in particolare quella della collezione Morelli di Firenze resa nota per la prima volta da Zuleika Murat (Murat 2013) e da cui è deducibile un modello comune a questa per Raniero. Nelle altre due nicchie in posizione angolare sono collocate a sinistra la figura di sant’Antonio, mentre compare sulla destra un’altra effige di Maria. Come si può intuire dal saluto della Vergine, la disposizione non è coerente e al posto del santo francescano, a completare visivamente la scena doveva trovare posto l’arcangelo Gabriele annunciante. Antonio avrebbe dovuto popolare uno degli spazi verso la parete di fondo che oggi risultano invece vuoti. Tutte le cinque calotte, aggettanti rispetto al sarcofago, portano nel loro spessore un importante fregio fogliato che, assieme a una modanatura piatta senza alcun accenno decorativo, fungono da base alla pietra tombale in cui è presentato il gisant scolpito del defunto. L’effigiato, dal volto disteso, porta vesti dalla tipica foggia dell’uomo dedito all’esercizio della legge, abbigliamento individuabile in molteplici tombe nelle immediate vicinanze; ciò che è veramente inusuale e caratterizzante è scolpito ai piedi del trapassato: poderosi volumi puntigliosamente rifiniti indicano per la prima volta qui al Santo la professione di docente (Tomasi 2021). La notevole aggiunta alla rappresentazione del dotto sarà riproposta nelle quattrocentesche tombe Fulgosio, Zabarella e Buzzacarini subendo infine un tracollo con la realizzazione del busto di Lazzaro Bonamico nel Cinquecento. Sotto l’arca scolpita è ben visibile la dedica al defunto posta tra le due massicce mensole decorate con i medesimi motivi vegetali del sarcofago e poggianti a loro volta su teste leonine finemente lavorate. Lo spessore dei modiglioni ospita inoltre i blasoni familiari in cui è ancora largamente presente il pigmento azzurro usato per campire la superfice liscia dello scudo, ma senza dubbio la parte pittorica più significante, seppur scarsamente leggibile, è quella posta nel sottarco dove corrono quattordici tondi con santi – o profeti – reggenti cartigli srotolati. Dal recente intervento conservativo è emerso come un’originaria tessitura cromatica e una doratura su ampi tratti delle superfici dovesse accompagnare l’intero monumento. Nella parte frontale dell’arco acuto, il perimetro dell’estradosso, supportato da peducci dalle medesime fattezze delle mensole, è occupato esternamente da cornice a dentelli e profilato da foglie carnose. Tra gli innumerevoli elementi dispersi già segnalati, va aggiunta anche la lapide di Caterina della Bonelda (Gonzati 1853), nuora di Raniero in quanto moglie di Argentino e sepolta fino alla metà del diciannovesimo secolo ai piedi dell’arcosolio. Un’ultima osservazione va effettuata per la parete di fondo, oggi completamente liscia, ma sulla quale era posta una finestra, ampiamente visibile nelle foto Alinari scattate tra il 1881 e il 1887 e in quelle utilizzate e pubblicate nel saggio di Wolters (Wolters 1974).

bibliografia

Bernardo Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Voll. II , Coi tipi di Antonio Bianchi, Padova 1852-1853, vol. II, pp. 58-59, 77; Brando Brandi, Vita e dottrine di Raniero da Forlì giureconsulto del secolo XIV, Unione tipografica editrice, Torino 1885; Arnaldo Segarizzi a cura di, Michaelis Savonarole, Libellus De magnificis ornamentis regie civitatis Padue, in Rerum Italicarum scriptores, Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento, Editore S. Lapi, Città di Castello 1902, vol. XXIV, p. 34; Roberto Abbondanza, Arsendi Raniero, in Dizionario Biografico degli Italiani, Istituto dell’Enciclopedia italiana, Roma 1962, vol. 4, pp. 333-339; Wolfgang Wolters, Appunti per una storia della scultura padovana del Trecento in Da Giotto al Mantegna, catalogo della mostra (Padova, Palazzo della Ragione 9 giugno- 4 novembre) a cura di Lucio Grossato, Electa, Milano 1974, pp. 36-42; Wolfgang Wolters, Il Trecento, in Le sculture del Santo di Padova, a cura di Giovanni Lorenzoni, Neri Pozza Editore, Vicenza 1984, pp. 14-15; Ruth Wolff, Le tombe dei dottori al Santo. Considerazioni sulla loro tipologia, in Cultura, arte e committenza nella Basilica di S. Antonio di Padova nel Trecento, A cura di Luca Baggio, Michela Benetazzo ,Atti del Convegno internazionale di studi (Padova, 24-26 maggio 2001), Centro Studi Antoniani, Padova 2003, pp. 282 ; Giulia Foladore, Il racconto della vita e la memoria della morte nelle iscrizioni del corpus epigrafico della basilica di Sant’Antonio di Padova (secoli XIII- XV), XXI ciclo della scuola di dottorato in Scienze storiche dell’Università di Padova, supervisori Professoressa Nicoletta Giovè Marchioli, Professore Antonio Rigon, 2009 Padova, vol. II, pp. 55-56, 267-270; Anna Maria Spiazzi, Vasco Fassina a cura di, I monumenti funerari nei chiostri della Basilica antoniana in Padova. Indagini e ricerche per la conservazione, Il Prato, Padova 2009, pp. 14- 16 ; Zuleika Murat, Le arche di Ubertino e Jacopo II nel percorso artistico di Andriolo de’ Santi, Predella, 33 (2013), pp. 185- 200; Donato Gallo, Arsendi Raniero, in Clariores dizionario biografico degli studenti e dei docenti dell’università di Padova, a cura di Piero Del Negro, Padova University press, Crocetta del Montello 2015, pp. 35-36.; Laura Cavazzini, Un incursione di Bonino da Campione alla corte dei Carraresi, in Arte di corte in Italia del Nord: programmi, modelli, artisti (1330 – 1402 ca.) a cura di Serena Romano, Denise Zauro, Viella, Roma 2013, pp. 37-61;  Michele Tomasi, Sondaggi in una zona d’ombra: appunti sulla scultura trecentesca al santo in La pontificia basilica di sant’Antonio in Padova, a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 650-653.

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