tipologia tomba
ubicazione
posizione nell'edificio
Navata sinistra, parete tra ingresso laterale e cappella dell’arca di Sant’Antonio; il sigillo tombale si trova nel chiostro del Paradiso, lato nord, nei pressi della cappella delle Reliquie.
autori
matriali e tecniche
Marmo veronese, marmo nero del lago di Garda, marmo bianco di Carrara.
stato di conservazione
note storico-critiche
Il grandioso monumento marmoreo è un arcosolio battuto e ribattuto nella cultura rinascimentale di matrice toscana, illuminata però dal lessico della nuova scuola locale degli sculptores et disipuli di Donato de Bardi, protagonista padovano per un prolifico e capitale decennio. Si iscrive nel novero dei grandi monumenti funebri elaborati appunto da Donatello, Michelozzo, Rossellino, ma soprattutto sembra avere come riferimento quello di Desiderio da Settignano per l’umanista Carlo Marsuppini in Santa Croce a Firenze. Un contributo fondamentale nella scelta tipologica lo diede probabilmente lo stesso Antonio, nativo di Arezzo come il Marsupini e certamente in rapporti con il cancelliere fiorentino; tuttavia, la facies del monumento contiene tutti i paradigmi dell’opera di Pietro Lombardo osservabili a stretto giro nei sepolcri veneziani per il doge Pasquale Malipiero, forse questo già in nuce prima di quello Roselli, e in quello per Pietro Mocenigo (Moschetti 1913; Siracusano 2021). L’autore, che trova una città in quel momento sguarnita del più apprezzato discepolo indigeno nato nella fucina donatelliana ovvero Bartolomeo Bellano, affronta rinnovando la tipologia del monumento funebre fino ad allora messa in opera all’interno del Santo. Procede quindi creando un’alta base costituita dalla lunga seduta in marmo rosso e dal corrispettivo schienale d’appoggio, il tutto ritmato da specchiature intervallate da lesene con fusto rudentato e terminanti con capitelli corinzi. Su quest’alta zoccolatura sono posti due infanti su tartaruga, dal volto mesto e reggenti i pavesi con le insegne della famiglia Roselli. L’edicola, puntigliosamente rifinita e decorata in ogni suo palmo, contiene avello e statua del committente. Antonio, con braccia incrociate sul ventre e indossante i panni che contraddistinguono la sua professione, è rappresentato adagiato su di un cataletto sostenuto da due rapaci ad ali spiegate. Subito al di sotto, il sarcofago a catino: sobrio ed armonioso, elegantemente decorato con racemi fogliati e poggiante su di un basamento traboccante di libri posti di sguincio. Il piedistallo da cui dipanano tutte queste figure, reca la dedicazione scolpita non in una targa, ma su elemento che simula una pergamena svolta per la sua lunghezza. L’effige dell’uomo qui celebrato è ben caratterizzata, il viso inclina leggermente verso sinistra cioè verso l’esterno dell’arco e si mostra nella sua ultima, pacata espressività; qui lo scultore evidentemente riprende, come da prassi, una maschera funebre, ma è anche certo che ebbe dimestichezza con il Roselli essendo ospite nella sua casa almeno dal 1464, ovvero due anni prima del trapasso del docente avvenuto il 16 dicembre 1466. Il volto è sagomato e solcato da grandi tagli: arcata sopraciliare, occhi semichiusi, bocca carnosa, vengono nettamente evidenziati dai valori chiaroscurali apportati dallo scalpello, in una maniera che è certo differente da quell’amalgama e leggerezza fisionomica ravvisabile nelle opere donatelliane, ma diversa anche dalla via percorsa da Bellano con il suo fare più riassuntivo e popolaresco. Le pieghe delle vesti, così aderenti al corpo e quelle del panno su cui è steso, sono ampie e regolari, ma abbastanza didascaliche se confrontate ancora agli esiti del maestro fiorentino. Dietro al catafalco la superfice, questa volta in marmo bianco, è trattata riprendendo le specchiature incorniciate già viste nella base e verificabili anche nel sepolcro Marsupini. Esternamente alla nicchia, i piedritti divengono pilastri rudentati con capitelli di ordine corinzio reggenti pulvino e trabeazione decorata con ogni tipologia di foglie d’acanto e motivi tratti dal catalogo dell’architettura classica. L’ultima cornice della trabeazione è una magnifica imposta d’arco dove continua la campionatura degli elementi vegetali e poggiano gli “orecchioni” scolpiti, riverbero dell’altare donatelliano. Sulla parete di fondo, i caratteri decorativi utilizzati per cesellare l’architettura proseguono per tutta la lunghezza della campata delimitando dunque lo spazio inferiore occupato dalle specchiature e la parte superiore ospitante una lunetta scolpita. È proprio questo elemento a racchiudere l’unica declinazione prettamente ed esplicitamente religiosa dell’intero monumento: uno stiacciato con al centro la Vergine reggente il Bambino -modellata sul tipo Da Schio del Bargello-, alla sua sinistra santa Caterina d’Alessandria protettrice dei giuristi e a destra un personaggio con vaso o pisside che Bigoni e poi Gonzati (Bigoni 1816; Gonzati 1853) avevano interpretato erroneamente come san Giovanni. Guardando più attentamente e notando la palma del martirio, è stata successivamente proposta la presenza di santa Barbara, messa però subito in dubbio da Moschetti (Moschetti 1913). Oggi la critica si trova concorde e ha diffusamente accolto in quella figura la presenza della Maddalena, certo non canonica nell’attributo della palma, ma calzante nel contesto (Markham Schulz 2010; Caglioti 2020; Siracusano 2021). L’intero monumento è racchiuso da due lesene, anch’esse rudentate, con capitello impreziosito da grifoni rilevati. Equilibrio e simmetria trionfano in questa memoria, ogni componente ha una sua specularità e attinenza nella controparte anche se una certa, quasi impercettibile, variazione è presente nel festone che scende esternamente e cinge l’estradosso dell’arco. Il documento di concessione degli spazi è stato pubblicato da Gonzati (Gonzati 1853): si trovano presenti davanti a Francesco di Domenico Conchellis notaio rogatore dell’atto, i massari dell’Arca del Santo, il lapicida Bartolomeo –interpretato erroneamente come Bellano – Francesco Roselli appellato come signore, figlio del defunto e certamente ricco uomo d’affari oltre che amministratore delle ricchezze familiari. La stipula prevedeva l’erezione del monumento, in forme onorevoli, nei pressi dell’arca del Santo e l’assenso a una tomba terragna con l’insegna stilizzata della rosa. La pietra tombale è ormai dispersa, ma il sigillo si è conservato ed è oggi custodito nel chiostro del Paradiso (Moschetti 1913; Baldissin 2020). Andrea Moschetti ritrovò e rese noti altri documenti di gran lunga precedenti poiché datati 1456, evidenziando dunque come la collocazione, le dimensioni e l’ingombro di questo arcosolio, avvennero mentre era ancora in vita il professore (Moschetti 1913). Anche l’inizio della costruzione avvenne con Roselli senior vivente cioè a partire dal 1464 e a opera non già del Bellano come sosteneva Gonzati, ma per mano di Pietro Lombardo che ne aveva fissato le caratteristiche, condizionato evidentemente dalle già citate memorie per Bruni e Marsupini in Santa Croce a Firenze. L’arca è considerabile un testo capitale nell’arricchimento scultoreo della basilica: è questa un’opera spartiacque nell’utilizzo degli spazi e delle celebrazioni funerarie d’illustri cittadini. La sua presenza assolutamente massiccia e corposa, la collocazione in un luogo spiritualmente preminente del tempio e l’assenza di una precisa funzione legata alla liturgia ne fanno una specie di linea rossa tra il prima e il dopo; non è infatti una cappella, né è inserita all’interno di una preesistente, è invece posta in un luogo in cui la famiglia aveva la propria panca o scranno, che divenne infatti la base marmorea simulante una spalliera intagliata. Camillo Semenzato non a caso ne individuò il carattere aggressivo e vorace e l’impatto doveva essere chiaro anche agli stessi reggenti dell’arca del Santo poiché da un contratto all’altro diminuisce la larghezza concessa e viene rifiutata la messa in opera di alcuni elementi lapidei rimpiegati poi negli armadi della sagrestia (Moschetti 1913; Lorenzoni 1984). Trasporto e montaggio del materiale, videro la supervisione dall’intagliatore rodigino Lorenzo Canozi da Lendinara (Lorenzoni 1984), maestro di prospettiva e creatore in quello stesso periodo del coro ligneo della Basilica mentre fattualmente, la messa in opera, fu eseguita dal muratore Bartolomeo di Luca e dalla sua squadra (Moschetti 1913). La cultura artistica di Pietro Lombardo è totalmente adesa ai canoni rinascimentali ormai ampiamente accolti dopo la lezione donatelliana e ruminati in quella stagione lussureggiante che fu l’età di Mantegna e della scuola padovana.
bibliografia
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