ROSELLI ANTONIO

biografia

Antonio di Rosello Roselli nacque ad Arezzo nel 1381 in una gens che diede natali a molteplici giuristi di gran levatura (Portenari 1623). Studiò a Bologna presso Antonio da Budrio, Bartolomeo Saliceto e Floriano da San Pietro raggiungendo la laurea il 16 maggio 1407 (Belloni 1986; Gallo 2015); già prima di questo coronamento figurava lettore nello Studio, ma ufficialmente la cattedra gli venne assegnata dopo la proclamazione avvenuta il 31 dello stesso mese. Divenne familiares di Guidantonio da Montefeltro a cui offrì il Tractatus de ieiuniis, un testo in cui argomentava il digiuno ascetico e religioso, mentre il conte di Urbino lo volle podestà di Assisi per l’anno 1415; dal seguente Roselli fu professore di diritto civile nello studio di Firenze, passò poi nel 1423 a Siena dove tra i suoi scolari vi fu Enea Silvio Piccolomin futuro papa Pio II che nell’incompleto e veloce compendio biografico De viris illustribus, ne tratteggiò la statura intellettuale. Finalmente nel 1430 divenne avvocato concistoriale, consigliò per questioni di somma delicatezza i papi Martino V Colonna, già vicino a Guidantonio da Montefeltro e il veneziano Eugenio IV Condulmer; è suo il corpo della bolla Deus novit che condanna le teorie conciliariste di Basilea. Tra le missioni più gravose da lui affrontate vi furono le partecipazioni alle ambascerie presso l’imperatore Sigismondo, ma la benevolenza del sovrano gli fruttò larghissima fama e il titolo di conte palatino con carica di procuratore. L’addobbamento imperiale giungeva per altro dopo quello già avuto dal re di Francia Carlo VII. Al monarca tedesco dedicò probabilmente il testo capitale della sua produzione, senza dubbio il più celebre, intitolato Monarchia, sive de potestate imperatori et pape. Questo trattato in cui veniva auspicato un ridimensionamento del potere temporale del Papa era stato sviluppato a Firenze e rielaborava alcuni concetti già precedentemente espressi (Murano 2014), ma maturati dopo la fuga da un’Urbe in mano ai Colonna che aveva sostanzialmente esiliato papa Eugenio IV ed allontanato Roselli, professore proprio nello Studio romano nel 1433 . Copiato, rimaneggiato e stampato più volte fu alla fine condannato dalla chiesa nel 1491 e messo all’indice. A Firenze Antonio ricoprì per la seconda volta la carica di docente con uno stipendio di 300 fiorini e tenne l’insegnamento fino al 1436, anno in cui veniva contattato dall’Università di Padova (Papadopoli 1723) per la cattedra diurna di diritto pontificio con compenso di cinquecento ducati. Accettato l’incarico tra il 1437 e 1438, a cinquantasei anni, rimase poi in servizio per ventotto (Martellozzo Forin 2001). Durante la senilità, non rispettando più gli impegni presi per l’insegnamento, il governo veneziano tentò di ridurgli quel lauto compenso evidentemente immeritato, portandolo a duecentoquaranta ducati, ma la proposta, messa ai voti, fallì. Si palesava una profonda crisi culturale dell’istituto universitario risolta solo negli ultimi decenni del secolo. Antonio morì il 16 dicembre 1466 e la sua orazione funebre fu letta dallo studente Pietro Barozzi, futuro vescovo padovano e grandioso mecenate. Roselli ebbe lunghissima vita e ampia discendenza; si sposò tre volte: prima moglie, dal 1420, fu Angela di Guidaccio Pecori con cui ebbe almeno sei figli, la seconda di nome Valenziana e già vedova del collega Prosdocimo Conti gliene diede altrettanti, mentre la terza a lui coniugata dal 1444 fu Valentina Visconti, figlia di Nestore e vedova di Francesco Turchetto con la quale, come riporta Carrington, non ebbe prole. Valentina, inoltre, nel 1457 dopo tredici anni di matrimonio, lasciò il coniuge per ritirarsi a vita appartata. Per testamento una volta deceduta, venne inumata nella cappella Turchetto al Santo e non invece assieme alla famiglia Roselli (Carrington 1996).

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cronologia

tipologia tomba

posizione nell'edificio

Navata sinistra, parete tra ingresso laterale e cappella dell’arca di Sant’Antonio; il sigillo tombale si trova nel chiostro del Paradiso, lato nord, nei pressi della cappella delle Reliquie.

matriali e tecniche

Marmo veronese, marmo nero del lago di Garda, marmo bianco di Carrara.

iscrizioni

stato di conservazione

note storico-critiche

Il grandioso monumento marmoreo è un arcosolio battuto e ribattuto nella cultura rinascimentale di matrice toscana, illuminata però dal lessico della nuova scuola locale degli sculptores et disipuli di Donato de Bardi, protagonista padovano per un prolifico e capitale decennio. Si iscrive nel novero dei grandi monumenti funebri elaborati appunto da Donatello, Michelozzo, Rossellino, ma soprattutto sembra avere come riferimento quello di Desiderio da Settignano per l’umanista Carlo Marsuppini in Santa Croce a Firenze. Un contributo fondamentale nella scelta tipologica lo diede probabilmente lo stesso Antonio, nativo di Arezzo come il Marsupini e certamente in rapporti con il cancelliere fiorentino; tuttavia, la facies del monumento contiene tutti i paradigmi dell’opera di Pietro Lombardo osservabili a stretto giro nei sepolcri veneziani per il doge Pasquale Malipiero, forse questo già in nuce prima di quello Roselli, e in quello per Pietro Mocenigo (Moschetti 1913; Siracusano 2021). L’autore, che trova una città in quel momento sguarnita del più apprezzato discepolo indigeno nato nella fucina donatelliana ovvero Bartolomeo Bellano, affronta rinnovando la tipologia del monumento funebre fino ad allora messa in opera all’interno del Santo. Procede quindi creando un’alta base costituita dalla lunga seduta in marmo rosso e dal corrispettivo schienale d’appoggio, il tutto ritmato da specchiature intervallate da lesene con fusto rudentato e terminanti con capitelli corinzi. Su quest’alta zoccolatura sono posti due infanti su tartaruga, dal volto mesto e reggenti i pavesi con le insegne della famiglia Roselli. L’edicola, puntigliosamente rifinita e decorata in ogni suo palmo, contiene avello e statua del committente. Antonio, con braccia incrociate sul ventre e indossante i panni che contraddistinguono la sua professione, è rappresentato adagiato su di un cataletto sostenuto da due rapaci ad ali spiegate. Subito al di sotto, il sarcofago a catino: sobrio ed armonioso, elegantemente decorato con racemi fogliati e poggiante su di un basamento traboccante di libri posti di sguincio. Il piedistallo da cui dipanano tutte queste figure, reca la dedicazione scolpita non in una targa, ma su elemento che simula una pergamena svolta per la sua lunghezza. L’effige dell’uomo qui celebrato è ben caratterizzata, il viso inclina leggermente verso sinistra cioè verso l’esterno dell’arco e si mostra nella sua ultima, pacata espressività; qui lo scultore evidentemente riprende, come da prassi, una maschera funebre, ma è anche certo che ebbe dimestichezza con il Roselli essendo ospite nella sua casa almeno dal 1464, ovvero due anni prima del trapasso del docente avvenuto il 16 dicembre 1466. Il volto è sagomato e solcato da grandi tagli: arcata sopraciliare, occhi semichiusi, bocca carnosa, vengono nettamente evidenziati dai valori chiaroscurali apportati dallo scalpello, in una maniera che è certo differente da quell’amalgama e leggerezza fisionomica ravvisabile nelle opere donatelliane, ma diversa anche dalla via percorsa da Bellano con il suo fare più riassuntivo e popolaresco. Le pieghe delle vesti, così aderenti al corpo e quelle del panno su cui è steso, sono ampie e regolari, ma abbastanza didascaliche se confrontate ancora agli esiti del maestro fiorentino. Dietro al catafalco la superfice, questa volta in marmo bianco, è trattata riprendendo le specchiature incorniciate già viste nella base e verificabili anche nel sepolcro Marsupini. Esternamente alla nicchia, i piedritti divengono pilastri rudentati con capitelli di ordine corinzio reggenti pulvino e trabeazione decorata con ogni tipologia di foglie d’acanto e motivi tratti dal catalogo dell’architettura classica. L’ultima cornice della trabeazione è una magnifica imposta d’arco dove continua la campionatura degli elementi vegetali e poggiano gli “orecchioni” scolpiti, riverbero dell’altare donatelliano. Sulla parete di fondo, i caratteri decorativi utilizzati per cesellare l’architettura proseguono per tutta la lunghezza della campata delimitando dunque lo spazio inferiore occupato dalle specchiature e la parte superiore ospitante una lunetta scolpita. È proprio questo elemento a racchiudere l’unica declinazione prettamente ed esplicitamente religiosa dell’intero monumento: uno stiacciato con al centro la Vergine reggente il Bambino -modellata sul tipo Da Schio del Bargello-, alla sua sinistra santa Caterina d’Alessandria protettrice dei giuristi e a destra un personaggio con vaso o pisside che Bigoni e poi Gonzati (Bigoni 1816; Gonzati 1853) avevano interpretato erroneamente come san Giovanni. Guardando più attentamente e notando la palma del martirio, è stata successivamente proposta la presenza di santa Barbara, messa però subito in dubbio da Moschetti (Moschetti 1913). Oggi la critica si trova concorde e ha diffusamente accolto in quella figura la presenza della Maddalena, certo non canonica nell’attributo della palma, ma calzante nel contesto (Markham Schulz 2010; Caglioti 2020; Siracusano 2021). L’intero monumento è racchiuso da due lesene, anch’esse rudentate, con capitello impreziosito da grifoni rilevati. Equilibrio e simmetria trionfano in questa memoria, ogni componente ha una sua specularità e attinenza nella controparte anche se una certa, quasi impercettibile, variazione è presente nel festone che scende esternamente e cinge l’estradosso dell’arco. Il documento di concessione degli spazi è stato pubblicato da Gonzati (Gonzati 1853): si trovano presenti davanti a Francesco di Domenico Conchellis notaio rogatore dell’atto, i massari dell’Arca del Santo, il lapicida Bartolomeo –interpretato erroneamente come Bellano – Francesco Roselli appellato come signore, figlio del defunto e certamente ricco uomo d’affari oltre che amministratore delle ricchezze familiari. La stipula prevedeva l’erezione del monumento, in forme onorevoli, nei pressi dell’arca del Santo e l’assenso a una tomba terragna con l’insegna stilizzata della rosa. La pietra tombale è ormai dispersa, ma il sigillo si è conservato ed è oggi custodito nel chiostro del Paradiso (Moschetti 1913; Baldissin 2020). Andrea Moschetti ritrovò e rese noti altri documenti di gran lunga precedenti poiché datati 1456, evidenziando dunque come la collocazione, le dimensioni e l’ingombro di questo arcosolio, avvennero mentre era ancora in vita il professore (Moschetti 1913). Anche l’inizio della costruzione avvenne con Roselli senior vivente cioè a partire dal 1464 e a opera non già del Bellano come sosteneva Gonzati, ma per mano di Pietro Lombardo che ne aveva fissato le caratteristiche, condizionato evidentemente dalle già citate memorie per Bruni e Marsupini in Santa Croce a Firenze. L’arca è considerabile un testo capitale nell’arricchimento scultoreo della basilica: è questa un’opera spartiacque nell’utilizzo degli spazi e delle celebrazioni funerarie d’illustri cittadini. La sua presenza assolutamente massiccia e corposa, la collocazione in un luogo spiritualmente preminente del tempio e l’assenza di una precisa funzione legata alla liturgia ne fanno una specie di linea rossa tra il prima e il dopo; non è infatti una cappella, né è inserita all’interno di una preesistente, è invece posta in un luogo in cui la famiglia aveva la propria panca o scranno, che divenne infatti la base marmorea simulante una spalliera intagliata. Camillo Semenzato non a caso ne individuò il carattere aggressivo e vorace e l’impatto doveva essere chiaro anche agli stessi reggenti dell’arca del Santo poiché da un contratto all’altro diminuisce la larghezza concessa e viene rifiutata la messa in opera di alcuni elementi lapidei rimpiegati poi negli armadi della sagrestia (Moschetti 1913; Lorenzoni 1984). Trasporto e montaggio del materiale, videro la supervisione dall’intagliatore rodigino Lorenzo Canozi da Lendinara (Lorenzoni 1984), maestro di prospettiva e creatore in quello stesso periodo del coro ligneo della Basilica mentre fattualmente, la messa in opera, fu eseguita dal muratore Bartolomeo di Luca e dalla sua squadra (Moschetti 1913). La cultura artistica di Pietro Lombardo è totalmente adesa ai canoni rinascimentali ormai ampiamente accolti dopo la lezione donatelliana e ruminati in quella stagione lussureggiante che fu l’età di Mantegna e della scuola padovana.

bibliografia

Nicolai Comneni Papadopoli Historia Gymnasii Patavini, Voll. II, Sebastiano Coletti, Venezia 1726, vol. II, p. 221; Angelo Portenari, Della felicità di Padova, Pietro Paolo Tozzi, Padova 1623, p. 237; Angelo Bigoni, Il Forestiere istruito delle meraviglie e delle cose più bella che si ammirano internamente ed esternamente nella basilica del gran Taumaturgo S. Antonio di Padova, Stamperia del Seminario, Padova 1816, p. 79; Bernardo Gonzati, La Basilica di S. Antonio di Padova descritta ed illustrata, Voll. II , Coi tipi di Antonio Bianchi, Padova 1852-1853, vol. II, pp. 138- 140, doc. CXLIX;  Andrea Moschetti, Pietro Lombardo a Padova, il monumento Roselli e altri lavori in «Bollettino del Museo Civico di Padova» 16(1913), 1-6, pp 1-99: pp. 28-67; Giovanni Lorenzoni, Dopo Donatello, da Bartolomeo Bellano ad Andrea Riccio, in Le sculture del Santo di Padova a cura di Giovanni Lorenzoni, Neri Pozza Editore, Vicenza 1984, pp. 95-107: pp. 97-99; Annalisa Belloni, Professori giuristi a Padova nel secolo XV, V. Klostermann, Frankfurt am Main 1986, p. 143; Jill Emilee Carrington, Sculpted tombs of the professors of the University of Padua c. 1353 c. 1557, Art dissertation, Syracuse University 1996, pp. 396-404; Elda Martellozzo Forin, L’Università di Padova al tempo di Donatello, in «Padova e il suo Territorio», XVI (2001), 92, pp. 15-18; Anne Markham Schulz, La Tomba Roselli nel Santo e l’opera giovanile di Pietro Lombardo a Padova e a Venezia, in Cultura, arte e committenza nella Basilica di S: Antonio di Padova nel Quattrocento, Atti del Convegno internazionale di studi ( Padova 25-26 Settembre 2009) a cura di Luciano Bertazzo, Giovanna Baldissin Molli, CSA, Padova 2010, pp. 325-340; Giovanni Murano, Un codice di dedica del Monarchia con interventi autografi di Antonio Roselli (Ms. Paris, Bnf, lat. 4237), in Honos alit artes. Studi per il settantesimo compleanno di Mario Ascheri. il cammino delle idee dal medioevo all’antico regime. Diritto e cultura nell’esperienza europea, a cura di Paola Maffei, Gian Maria Varanini, Firenze University Press, online 2014, pp. 83-91; Donato Gallo, Roselli Antonio, Clariores dizionario biografico degli studenti e dei docenti dell’università di Padova, a cura di Piero Del Negro, Padova University press, Crocetta del Montello 2015, p. 285; Francesco Caglioti, Madonna col Bambino (Madonna da Schio), in A nostra immagine. Scultura in terracotta del Rinascimento da Donatello a Riccio, a cura di Andrea Nante, Carlo Cavalli, Aldo Galli, catalogo della mostra ( Padova, Museo Diocesano 15 febbraio- 2 giugno 2020), Scripta Edizioni, Verona 2020, pp. 125-129; Giovanna Baldissin Molli, 1450: Presbiterio e dintorni nel Santo di Padova, in «Il Santo», LX (2020), 1-2, pp. 93-140; Luca Siracusano, Patria dalla quale sono usciti molti scultori eccellentissimi, dopo Donatello fino alla fine del Cinquecento, in La pontificia  basilica di sant’Antonio in Padova a cura di Luciano Bertazzo, Girolamo Zampieri, L’Erma di Bretschneider, Roma 2021, pp. 1071-1153:  pp. 1077- 1079.

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